Se il fisco grava sugli obesi

Le analisi presentate in "Obesità e tasse" consentono di guardare al di là delle facili demagogie, a vantaggio della libertà di scelta consapevole dell'individuo consumatore

11 Febbraio 2014

Largo consumo

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Si moltiplicano, dagli Stati Uniti all’Europa, i tentativi di contenere il fenomeno dell’incremento del numero degli obesi sull’insieme della popolazione ricorrendo alla leva fiscale.

È in sostanza la pratica, che va diffondendosi, di assoggettare a particolari regimi di imposizioni tributarie i vizi alimentari. In realtà proposte di questo tipo ricorrono ormai regolarmente quando si cercano soluzioni credute efficaci nel contrastare cattive abitudini che hanno evidenti ripercussioni sociali; ma è del tutto chiaro che per lo più si tratta di semplici espedienti con una incidenza scarsa o nulla in termini effettivi.

Per questo il curatore del volume Obesità e tasse. Perché serve l’educazione, non il fisco, Massimiliano Trovato, ha cercato di indagare i presupposti e i risultati delle imposte sui cosiddetti junkfood, raccogliendo i contributi di economisti, giuristi ed esperti di politiche sanitarie: Alberto Alemanno, Ignacio Carrerio, Katelyn Christ, Scott Drenkard, Edward Glaeser, Randall Holcombe, Lucia Quaglino, Le analisi presentate consentono di guardare alla realtà al di là delle facili demagogie, il cui risultato è piuttosto quello di distorcere il mercato e di ridurre la libertà di scelta consapevole dell’individuo consumatore. Le tasse sul vizio finiscono per avere un sostanziale impatto recessivo, danneggiando le fasce più deboli della popolazione e sono il frutto di pregiudizi e dell’influenza esercitata da gruppi di pressione. Soprattutto non raggiungono lo scopo desiderato, perché cibi altrettanto dannosi non risultano compresi entro il perimetro dell’imposta.

E vero, invece, che una dieta sana presuppone scelte fatte in autonomia e consapevolezza dell’esito dei propri consumi a tavola. Se allora si vuole davvero tutelare la salute, e non semplicemente aumentare gli introiti delle casse dello Stato, è preferibile guardare ad alternative sul versante dell’educazione.

Da Largo consumo, gennaio 2014

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