Se il Parlamento decide di ignorare fine vita e taxi

Il suicidio assistito e i tassisti hanno in comune una voluta e persistente mancanza di intervento delle maggioranze di governo

22 Luglio 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

Cosa hanno in comune il suicidio assistito e i tassisti? In una sola settimana, la Corte costituzionale è intervenuta con due importanti sentenze su questi due temi molto distanti tra loro per materia e per gravità, ma che hanno un punto in comune: una voluta, persistente mancanza di intervento delle maggioranze di governo.

Nel caso del trasporto pubblico non di linea, la Consulta ha deciso di intervenire sollevando essa stessa dinanzi a sé la questione di illegittimità della sospensione delle autorizzazioni agli NCC. Nel 2018, il governo Conte 1 aveva condizionato le nuove autorizzazioni all’operatività di un archivio informatico pubblico delle imprese che non è mai nato, per inerzia del Ministero dei trasporti. Un’inerzia che, in realtà, ha radici molto più lontane e profonde nella volontà di proteggere un settore specifico e ben organizzato, quello dei tassisti, il quale tiene incomprensibilmente sotto ricatto le maggioranze di governo, davanti agli occhi increduli dei cittadini e dei turisti delle principali città italiane.

Con la pronuncia sul suicidio assistito, la Corte ha ribadito i requisiti per l’accesso che essa stessa, in mancanza di un quadro normativo, aveva dovuto stabilire con una precedente pronuncia del 2019, originata dal caso Di Fabo-Cappato. In parole povere, il giudice delle leggi stavolta ha interpretato se stesso, perché l’attuale base normativa per comprendere quando è lecito e quando no assistere e accompagnare al suicidio una persona malata è stato stabilito, in mancanza di una legge, da una sua sentenza, che a sua volta fece seguito a una decisione in cui la Corte aveva provato a dare un anno di tempo al legislatore per rimediare al vuoto legislativo.

Al di là delle importanti questioni sostanziali che sottostanno alle due decisioni e che meriterebbero una lettura anche da parte dei non addetti ai lavori, ad accomunarle è questo aspetto trasversale di voluta incapacità dei “rappresentanti del popolo” di fare almeno quel poco che dovrebbe fare bene: adeguare la realtà normativa a quella fattuale.

Per gli NCC, da almeno dieci anni l’innovazione tecnologica ha consentito, nel concreto, il superamento della separazione tra taxi e noleggio con conducente, tanto che alcune società, tra cui la principale cooperativa taxi di Roma, hanno già integrato le loro applicazioni a quella di Uber. Per il fine vita, le scienze e le tecnologie mediche e sanitarie danno oggi possibilità di sopravvivenza imparagonabili rispetto anche solo a qualche lustro addietro. Per entrambi, in tutti questi anni Parlamento e governo sono rimasti nel silenzio o al più hanno balbettato. Tocca quindi ai giudici, non da ora e non solo quelli costituzionali, supplire a quella che la Corte stessa ha definito “una perdurante assenza” di una legge che disciplini il suicidio assistito e “una perdurante inoperatività” dell’archivio informatico delle imprese.

Un atteggiamento frequente del nostro personale politico, soprattutto di quello parlamentare, consiste in una specie di vittimismo sornione che ne sottolinea la marginalizzazione rispetto a decisioni che vengono prese altrove: dalle Corti, dall’Unione europea, dalle istituzioni tecnocratiche come le banche centrali, persino dalla finanza. Il “ce lo chiede l’Europa” o “ce lo impongono i mercati” è giusto un gradino sotto lo spirito complottistico secondo cui ci sono sempre degli oscuri burattinai che da dietro le quinte tirano i fili delle nostre esistenze. Non voler disciplinare materie eticamente sensibili, che sono e devono essere una prerogativa dell’attività del Parlamento in quanto direttamente interprete delle sensibilità dei suoi elettori, e non voler adeguare la regolazione del servizio pubblico non di linea all’esistenza di un oggetto di uso comune come lo smartphone dovrebbe indurre a chiederci se questa sindrome da incompreso abbia poco a che fare con la limitatezza del ruolo loro assegnato, ma molto con la selezione della classe politica e, di conseguenza, con il suo senso di responsabilità.

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