Se lo Stato controlla la nostra vita

Oggi lo Stato può farci i conti in tasca: consumi, investimenti, debiti. Nel giro di un paio d'anni questo varrà anche a livello internazionale

26 Marzo 2015

La Stampa

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

La sensibilità delle persone, in materia di privacy, è cosa ben strana. Ci preoccupano tantissimo social network e giganti del web. Se stiamo sviluppando una qualche perplessità, non è perché Twitter o Facebook sappiano molte cose di noi più di quante non fossero note, ad altri, anche prima. Sui social network noi distribuiamo opinioni e fotografie con la stessa liberalità che usavamo al bar o alle feste di famiglia.

Amazon conosce le nostre abitudini, ma né più né meno del nostro libraio di fiducia.

Ciò che comincia ad inquietarci è il fatto che queste aziende sono enormi, e riuniscono enormi quantità di dati, che riguardano una popolazione assai vasta. Che facciano alcunché di male, è tutto da dimostrare. Ma nutrire una sorta di pregiudizio negativo verso le organizzazioni di così grande dimensione non sembra irragionevole. Ci spaventa la scala: ci spaventa sentirci soli, piccoli, impotenti, davanti a un colosso. Ci spaventa ciò che di noi stiamo sicuramente rivelando senza accorgercene, e ci irrita che qualcuno possa trarne beneficio senza che ce ne accorgiamo.

Per questo è tanto più sorprendente che non ci sia nessuno che alza un sopracciglio, se invece è lo Stato a sapere tutto di noi: nello specifico, tutto sulle nostre finanze, e senza che ci abbia mai chiesto di acconsentire al trattamento dei dati.

Tuttavia, il segreto bancario è morto e sepolto, dentro e fuori i confini delle nazioni, e nessuno ha recitato una prece. Già oggi lo Stato può facilmente farci i conti in tasca: consumi, investimenti, debiti. Nel giro di un paio d’anni questo varrà anche al di fuori del territorio su cui è sovrano. C’è poco da prendersela con l’Agenzia delle Entrate, il trend è internazionale. Grazie ad un accordo promosso dall’Ocse, dal 2017 le autorità fiscali di quaranta Stati potranno inviarsi dati relativi ai contribuenti residenti, con una procedura amministrativa che prescinde dall’esistenza di un’indagine della magistratura. Fra i Paesi coinvolti, anche Argentina, Ungheria, e Russia. Poco importa se basta un minimo di memoria storica a suggerire a un argentino di tenere lontano dal suo governo i suoi risparmi, o se dissidenti ungheresi e russi hanno l’esigenza di proteggersi (e di proteggere i propri fondi) da leader non precisamente liberali. Lo scambio d’informazioni sarà, per l’appunto, automatico.

Leggi il resto su La Stampa, 26 marzo 2015
Twitter: @amingardi

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