“Tentare è il primo passo verso il fallimento”. Nessuno, se non Homer Simpson, avrebbe potuto pronunziare una frase così contro intuitiva ma allo stesso tempo memorabile. In effetti non è da oggi che la famiglia Simpson è al centro dell’attenzione di sociologi, filosofi e studiosi di ogni risma per la capacità dei suoi componenti di rappresentare in modo deforme, paradossale e soprattutto divertente, vizi, tic, virtù, contraddizioni, manie della società moderna. I Simpson, per quell’1 per cento dei lettori che ne ignorano l’esistenza, sono un cartone animato il cui protagonista principale è Homer, impiegatuccio più o meno 40enne, bolso, goffo, egoista, collerico, tonto ma con un tocco di residua saggezza alla Sancho Panza e, in fondo, di buon cuore. I membri della sua famiglia sono la paziente moglie Marge e i tre pargoletti Bart (pestifero), Lisa (studiosa e saccente) e la piccolissima Maggie. Vivono in una tipica località del Nord Est o Mid West americano, Springfield, ove il maggior datore di lavoro (anche di Homer) è la centrale nucleare di proprietà del rapacissimo Mr. Burns e il passatempo preferito degli uomini è scolarsi qualche birra Duff nella taverna di Boe.
Naturalmente il cartone è popolato da una serie di personaggi comprimari, dall’irreprensibile Mr. Flanders a Nonno Abraham, che di volta in volta appaiono negli episodi. Vista la duratura fama mondiale della serie, era inevitabile che prima o poi anche gli economisti si sarebbero occupati di quel che succede a Springfield. Ne è nata così una raccolta di saggi molto divertente, Homer Economicus, pubblicata in Italia da IBL Libri, la collana dell’Istituto Bruno Leoni.
Traendo ispirazione dagli episodi o dai filmi dei Simpson, ben 22 studiosi trattano vari temi economici con risultati che vanno dal piacevolmente didattico all’esilarante. Il libro parte dalle basi e quindi affronta concetti quali costo-opportunità, necessari per capire se un’attività economica è in profitto. La nozione non è tanto chiara ad Homer, il quale nell’episodio “Tanto va Homer al lardo…” scopre che friggendo il bacon a dovere si può ricavare brillantina. Spalleggiato da Bart, il Nostro frigge tutta la pancetta che trova a casa per ricavare 63 centesimi da un compratore. Homer è felice, ma Bart, più sveglio, gli fa notare che il bacon costa 27 dollari e quindi l’affare è in perdita. Il padre, imperterrito, gongola perché è Marge che compra il bacon con i soldi di…Homer! I 27 dollari sono solo il costo contabile, perché ci sono altri costi monetari (energia elettrica per fondere la pancetta, benzina per trasportarla) e costi-opportunità, il tempo speso da padre e figlio e che avrebbe potuto essere impiegato meglio (anche guardare la televisione avrebbe almeno impedito la perdita).
Ma la raccolta spazia sui temi più vari. Ad esempio, John Considine dell’Università di Cork in Irlanda, spiega la teoria cosiddetta della Public Choice i cui fondatori sono stati James Buchanan e Gordon Tullock. In breve, questa scuola sostiene che lo Stato dovrebbe essere valutato applicando alla sua analisi i principi economici esattamente come si applicano al mercato. I politici e i funzionari pubblici non sono angeli, ma soggetti razionali che decidono in base al loro interesse (rielezione o vantaggi economici) e i fallimenti dello Stato sono spesso più gravi di quelli del mercato perché poggiano su più ignoranza razionale, ossia la scelta dell’elettore di non informarsi perché gli costa troppo e perché i partiti in competizione costringono a votare per una parte di cui non si approva comunque una fetta consistente delle proposte.
Un po’ difficile? Prendiamo l’episodio “Tanto Apu per niente”. Il vicino di Homer, Flanders, vede un orso per strada, si impaurisce, perde il controllo dell’auto e si schianta contro un albero. Homer guida allora una marcia sul municipio reclamando una soluzione al problema degli orsi. Il sindaco Quimby, nonostante il tipo di incidente capitato a Flanders sia un episodio isolato, decide di ingraziarsi gli elettori istituendo costosissime pattuglie anti-orso che si servono anche di bombardieri stealth B2 per le ricognizioni. Quando Homer si accorge di dover pagare più tasse per finanziare la spesa, si mette alla testa di un’altra manifestazione anti-tasse e il cinico Quimby arringa la folla dicendo che la causa delle imposte più alte è colpa degli immigrati illegali e perciò promette un referendum sull’immigrazione tra gli applausi della folla.
Suona familiare? Almeno quanto la monorotaia che l’assemblea cittadina decide di finanziare nell’episodio “Marge contro la monorotaia”, nonostante che Springfield non ne abbia bisogno e i soldi potrebbero essere meglio spesi per risistemare Main Street: ma il fascino della grande opera è irresistibile. Le scelte pubbliche sono irrazionali perché non sono informate e soddisfano interessi particolari.
Il mercato del lavoro è un altro argomento trattato grazie ad Homer che spiega come il fattore costo del lavoro influenzi la concorrenza tra imprese e quindi la delocalizzazione. Nell’episodio “Kiss Kiss Bang Bangalore” Mr. Burns decide di trasferire l’impianto nucleare in India dove il costo del lavoro è molto più basso, i lavoratori sono altrettanto preparati e quindi più produttivi di quelli americani. Sfortunatamente, Burns invia ad addestrarli Homer, il quale gli insegna i concetti di straordinari pagati, pause caffè e feste aziendali per i compleanni dei dipendenti. A questo punto i lavoratori indiani “riaddestrati” forniscono un prodotto inferiore per dollaro di salario e Burns riporta felicemente l’impianto a Springfield, il che conferma quel che si dice da noi tra il serio e il faceto e cioè che per battere la concorrenza dei cinesi bisognerebbe esportare da loro Cgil, Cisl e Uil.
Insomma, il libro, facendo uno slalom tra ciambelle, birre Duff, mestieri improbabili tentati da Homer e bizzarri titoli di studio (tra cui spicca il certificato di laurea della “Club Med School” del Dr. Nick Riviera), ci parla di temi quali domanda e offerta, barriere all’ingresso, spesa pubblica e tasse, guidandoci tra i principi fondamentali dell’economia di mercato il più importante dei quali rimane il Teorema di Homer: D’oh!
Da Il Foglio, 2 novembre 2016