16 Maggio 2017
Il Sole 24 Ore
Franco Debenedetti
Presidente, Fondazione IBL
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Porta il momento di ottimismo che tutti attendevano: questa, ancor più che l’aver scampato il pericolo che per due volte ci aveva tenuti col fiato sospeso, è la posizione di forza con cui Emmanuel Macron arriva al tavolo europeo. Adesso tutti attendono che si riequilibri il rapporto tra Francia e Germania, che in passato aveva garantito il buon funzionamento dei meccanismi europei, comunitari prima e intergovernativi poi: questa è la priorità.
Sulle due sponde del Reno si affacciano Paesi con due “immagini del mondo” profondamente diverse, una basata sul principio che regole legali e morali sono condizione per il funzionamento del mercato, l’altra che le regole devono essere soggette al processo politico, e che limitare la libertà del governo di agire (e di indebitarsi) sarebbe antidemocratico.
Dopo l’accordo di Deauville sul principio del Private Sector Involvement, che mette in dubbio la sicurezza dei debiti sovrani, lo spread sul Bund diventa, come già il cambio col marco negli anni ‘8o e ’90, il poliziotto dei governi: l’asse che aveva retto gli equilibri in Europa, viene sbilanciato in favore della Germania. Adesso, scrive Philip Stephens sul Financial Times (in italiano sul sito del Sole), sembra che i due Paesi tirino nella stessa direzione: per Emmanuel Macron rafforzare la Francia è tutt’uno con il ristabilire fiducia nell’Europa; per Angela Merkel, senza un partner francese affidabile tocca alla Germania tutto il peso della leadership europea.
Wolfgang Schaeuble si è sempre dichiarato disposto al trasferimento di pezzi di sovranità a un “ministro delle Finanze” nel consiglio europeo, che sia non un tecnico ma un’autorità legittimata dalla politica: ad opporsi era finora sempre stata la Francia, gelosa delle sue prerogative nazionali, e quindi contraria a interventi di terzi sul proprio bilancio statale. Schaeuble ha pure rilanciato altre proposte: creazione di un Fondo monetario europeo, sviluppando lo statuto dell’Esm; un Parlamento dell’Eurozona che potrebbe avere un potere consultivo sul fondo salva-Stati.
In questo quadro, pretendere di agganciare al treno di Macron il nostro vagoncino di doléances germanofobe, credere che fornisca sponda e copertura “ideologica” per poter fare più deficit, è o fuori contesto o negativo. Come lo è quanto scrive Federico Fubini (editoriale del Corriere della Sera dell’11 maggio), che l’idea prevalente di una Germania riformista mentre gli altri no, sia solo un grande colpo di pubbliche relazioni messo a segno da Angela Merkel e dal suo ministro delle Finanze. Altro che colpo di pubbliche relazioni, è proprio tutto il contrario, e in due sensi.
In senso positivo, perché la Germania è l’esempio di come le riforme siano possibili e funzionino: quelle di Schroeder di 15 anni fa hanno trasformato il sick man of Europe in una delle massime potenze economiche mondiali. In seguito, la Germania è effettivamente rimasta indietro quanto a liberalizzazione dei servizi, riduzione delle imposte che il suo bilancio consentirebbe: e questo dimostra in senso negativo quanto hanno ragione Merkel e Schaeuble quando sostengono che il rigore induce a riformare (vedi noi con le pensioni), mentre la deroga alle regole, gli spazi di flessibilità concessi causano azzardo morale, che disincentiva dal fare le riforme, e induce a rimangiarsele alla prima contestazione.
È vero, a completare l’unione bancaria manca la garanzia europea dei depositi: ma come possiamo proprio noi pretendere che la Germania convinca i suoi contribuenti a soccorrere i depositanti di banche che abbiamo lasciate andare nelle condizioni delle nostre venete? Come possiamo reclamare il pezzo mancante del progetto, quando le parti già approvate (sul bail in) vengono sostanzialmente disattese? Paradossale poi rinfacciare alla Germania di aver beneficiato dell’apporto di capitali e persone in fuga da Paesi che non sono stati capaci di riformare la propria economia e di migliorare la propria competitività.
L’armamentario della germanofobia, dell’Europa a trazione tedesca, che si arricchisce con le nostre difficoltà, che impone rigore teutonico e austerità luterana è stato smontato pezzo per pezzo da tempo: ora è fuori tempo. Lo sono sia i pugni sul tavolo, le recriminazioni, le ripicche, sia il pensiero gregario. Bisogna avere il senso del momento politico che si è creato con la sconfitta di Mme LePen e con la vittoria di Macron. Questo richiede, in Italia, risolutezza nel rintuzzare i sovranisti; in Europa, prontezza a cogliere le opportunità.
Da Il Sole 24 Ore, 16 Maggio 2017