Se separare le carriere può aiutare la Giustizia

La separazione delle carriere dei magistrati è passata in cima alle priorità del governo, tornando ad essere motivo di scontro politico

22 Gennaio 2025

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Vista dal governo, la separazione delle carriere in magistratura è passata in cima alle priorità di riforme. Vista dal lato della magistratura, è tornata un acceso e attuale motivo di scontro. Dopo la conclusione della prima lettura alla Camera, l’Associazione nazionale dei magistrati ha deciso di disertare le imminenti cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario. Per il 27 febbraio, inoltre, è previsto un primo sciopero nelle aule giudiziarie.

Da qualunque lato la si guardi, il motivo per cui la riforma è decisiva, tanto da scatenare di nuovo il conflitto tra i due poteri dello Stato, sembra però riguardare più gli effetti percepiti che quelli concreti.

La proposta si basa su tre punti fondamentali: l’istituzione di due diversi Consigli superiori, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente; il trasferimento della funzione disciplinare a un nuovo e distinto organo, l’Alta corte disciplinare; il sorteggio come criterio di base perla scelta dei componenti di tutti e tre gli organi. Intorno a queste modifiche ruotano l’intenzione e l’obiettivo di separare la carriera dei pubblici ministeri da quella dei magistrati giudicanti. Una battaglia storica di Forza Italia che solo ora, defunto il suo fondatore, è già arrivata là dove non era mai arrivata: la proposta Alfano del 2011 si fermò all’esame in commissione.

Pur senza modifica costituzionale, dai tempi di Berlusconi a oggi, però, sono successe un po’ di cose. In particolare, la riforma Castelli prima e la riforma Cartabia poi hanno disincentivato con molti limiti e vincoli il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti. E infatti, i passaggi negli ultimi anni sono di poche decine in tutto.

Per molti, questo significa che la riforma Nordio sia inutile. Ma poiché i simboli contano molto, non è affatto inutile.

Tre anni fa, nel suo secondo discorso di insediamento da Presidente della Repubblica, Mattarella ha detto al Parlamento che «un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della giustizia», verso la quale il sentimento di fiducia dei cittadini appare fortemente indebolito. A indebolirlo sono stati, negli anni, due fenomeni diversi e collegati: il correntismo e il circo mediatico giudiziario. Rispetto a entrambe queste degenerazioni, la riforma dell’autogoverno dei giudici non sarà certo risolutiva, ma sarà utile a rafforzare la fiducia e la non diffidenza verso la giustizia e l’ordine giudiziario di cui pure ha parlato il Presidente Mattarella.

Quanto al primo, se è vero che già ora vigono forti limitazioni al passaggio di funzioni, la carriera ancora unica restituisce all’opinione pubblica l’idea che la magistratura inquirente abbia una posizione equivalente a quella giudicante, che le decisioni di un Pm siano già sentenza, che le indagini siano già processo, che l’indagato sia già condannato. Gli effetti di questa mediatizzazione, le cui responsabilità gravano anche nel mondo del giornalismo e della politica, non sono stati solo i processi sui giornali, ma anche alcune scelte legislative, come quelle sulla decadenza e l’incandidabilità degli indagati.

Quanto al correntismo, il sorteggio non rappresenta una garanzia assoluta rispetto alle logiche di appartenenza, che possono sorgere anche successivamente alla composizione dei Consigli. Tuttavia, ridurrebbe il potere attuale delle correnti e il loro condizionamento nello svolgimento delle funzioni dei CSM. Soprattutto, sanerebbe l’attuale anomalia di un sistema che solo per pudore nominalistico viene definito correntizio e non politico. Se c’è un limite della riforma, caso mai, è quello di non garantire un ordine di grandezza alla lista di sorteggiabili che il Parlamento, in prima battuta, elegge, o di non separare i concorsi per l’accesso alle due carriere. Dettagli importanti, anche per un riforma sul filo dei simboli.

oggi, 22 Gennaio 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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