Quella per la Competitività è la terza Bussola con cui l’Unione europea prova a orientare lo sviluppo della sua economia.
Per prima, la Bussola per il digitale del 2021 avrebbe dovuto guidarci verso una completa transizione entro il 2030. Siamo nel 2025, quasi a metà del periodo previsto, e mai come in questi giorni, nella rincorsa tra l’americana ChatGpt e la cinese DeepSeek, si è fatto chiaro quanto siamo rimasti indietro. Nel 2022 è stata la volta della Bussola strategica per la sicurezza. Per il momento, deve essere servita a poco, se tra gli effetti dell’elezione di Trump che più agitano le cancellerie europee c’è l’autonomia europea nella difesa. Nella Bussola presentata due giorni fa, non c’è alcuna intenzione che non sia condivisibile. Come possiamo non augurarci che l’Europa diventi «il luogo in cui tecnologie, servizi e prodotti puliti del futuro vengono inventati, fabbricati e commercializzati»? Al più, si può pensare che sia una frase fuori tempo massimo. Ma il problema è proprio questo.
Il documento raccoglie alcune – le meno onerose – delle indicazioni del piano Letta e, soprattutto, del Piano Draghi perché l’Europa «riconquisti la sua competitività e assicuri la sua prosperità». Ma i due rapporti Draghi e Letta hanno già offerto all’Unione europea una precisa descrizione della sua condizione economica e hanno indicato chiaramente le cose da fare. Hanno fatto già, insomma, da bussola. Si può essere più o meno d’accordo con il percorso da loro indicato, ma sia la diagnosi che alcune delle possibili cure sono state dettagliatamente rese. Più che una bussola, allora, quella presentata ieri è una comunicazione tipica di un’Europa verbosa che fatica ad andare oltre le parole, che – pure loro – si ripetono ormai con una certa prevedibilità.
Si dice che la bussola fu un’invenzione cinese. È una bizzarra coincidenza, che però aiuta a comprendere un punto non ancora forse chiaro del posizionamento dell’economia europea e del suo sistema giuridico. Siamo sicuri che valga ancora l’adagio di una Cina buona solo a copiare e un’Europa buona solo a regolare? La prima ha iniziato a raccoglierei frutti della sua capacità innovativa: non solo DeepSeek e TikTok, ma anche le macchine elettriche, come la Commissione ha imparato bene sulla propria pelle e ancor più su quella dell’automotive europea. Viceversa, l’Ue si limita a copiare le intenzioni altrui con comunicazioni piene di buone speranze, senza raggiungere i risultati promessi.
L’impressione è che lo faccia a livello istituzionale, dove l’integrazione europea ha smesso di essere un efficace laboratorio originale e si è arenata in logiche opache e contraddittorie rispetto alle premesse di un’Europa sempre più unita. Anche del Pnrr, alla fine, rischia di rimanere solo il ricordo di un debito comune per dare soldi ai singoli Stati. E lo fa sistematicamente a livello imprenditoriale, dove le idee vengono soffocate ancor prima di nascere. La regolazione europea dei mercati digitali è, in questo senso, emblematica. Solo per fare l’esempio più recente, X, Meta, TikTok non solo non sono nate in Europa, ma dall’Europa sono state messe sotto inchiesta. Emblematiche lo sono anche le modalità di finanziamento alla ricerca che, condizionando spesso contenuti e obiettivi dei progetti ammissibili, limitano in radice quella libertà necessaria per l’avanzamento delle conoscenze. La Commissione stessa, nella Bussola per la competitività, è consapevole che l’Europa ha un problema con l’eccesso di regolazione. Eppure, non riesce a proporre nulla di meglio di un imminente pacchetto legislativo omnibus (sic), cioè ulteriore regolazione che dovrebbe servire a semplificare ma che sarà un fattore in più di incertezza e complicazione.
Non c’è un motivo soltanto che spieghi come mai e da quando abbiamo smesso di produrre qualcosa di veramente originale, nelle istituzioni e nell’economia, e abbiamo cominciato a essere utenti delle innovazioni altrui, a ogni livello. Dobbiamo però iniziare a chiedercelo, smettendo di considerarci almeno i campioni della regolazione e di vantarci di quello che gli accademici chiamano «Bruxelles effect», cioè la sua capacità regolatoria anche oltre i confini della sua giurisdizione. Altrimenti, la bussola l’avremo persa per sempre.