14 Luglio 2017
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
L’ultimo studio dell’Istat ci trasmette un’immagine stabile della situazione economica italiana, con speciale attenzione alle difficili condizioni dei più deboli. Quanti vivono al di sotto della soglia di povertà, infatti, sono 4,7 milioni: una cifra che conferma il dato degli anni precedenti. Secondo l’istituto di statistica, peggiorano soprattutto le condizioni dei più giovani ed è particolarmente dura la situazione di chi ha tre figli o più. Le ultime analisi, riguardanti il 2016, grosso modo confermano la realtà dell’anno precedente, così che si potrebbe dire che siamo di fronte a una notizia né buona né cattiva. Nei fatti, però, non è così. Tale stabilità dei dati, a ben guardare, ci obbliga a constatare un autentico disastro. Il motivo è che in linea generale stiamo vivendo una fase storica caratterizzata, in larga parte del mondo, da una crescente riduzione del numero di chi vive in condizioni economiche difficili. Durante l’ultimo trentennio nell’intero pianeta abbiamo visto diminuire non soltanto la percentuale delle famiglie in difficoltà, ma addirittura il loro numero in termini assoluti. E tutto questo a dispetto di una crescita demografica impressionante.
Grazie all’apertura dei mercati e a riforme che hanno dato spazio a imprese private e a una crescente concorrenza, molti Paesi hanno visto crollare in modo assai rilevante la percentuale di quanti vivono al di sotto della soglia di povertà. Si parla spesso dell’India e soprattutto della Cina, ma in realtà sono numerosissime (anche in America latina, anche in Africa) le economie che stanno sviluppandosi e spesso in maniera impetuosa.
Se da noi il numero di quanti sono in difficoltà non cala, questo si deve soprattutto al fatto che continuiamo a muoverci nella direzione opposta. La regolazione aumenta di continuo e la recente decisione d’imporre un certificato di stabilità per le abitazioni (ennesimo onere sulle spalle dei proprietari) è solo l’ultimo esempio di questa crescente burocratizzazione della nostra società e della nostra economia. E qualcosa di simile si può dire per le norme che mettono fuorilegge una compagnia di trasporto come Flixbus, per le leggi che impediscono a Uber di competere con i taxi e con gli altri servizi pubblici di trasporto, per lo stop (l’ennesimo) alla riforma sulla concorrenza, ecc. Bisogna comprendere che il Paese è sempre più distrutto da tasse e spesa pubblica. E mentre in questa situazione una classe politica responsabile dovrebbe sfruttare a proprio favore il “vincolo esterno” rappresentato dalle regole europee, quello che sta succedendo è che invece si cerca di continuare a spendere e tassare: come attesta lo scontro delle scorse tre ore tra il presidente dell’Euro gruppo, Jeroen Dijsselbloem, e l’uomo forte della politica italiana, Matteo Renzi. Con politici che non vogliono ridurre l’area dell’intervento governativo e con imprenditori le cui attività troppo spesso dipendono da spesa statale, protezioni e regolamentazione, è difficile pensare che l’economia italiana possa migliorare. E senza crescita non vi è alcuna speranza di vedere diminuire il numero di quanti sono ai margini della società.
Da La Provincia, 14 Luglio 2017