25 Settembre 2017
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Si fanno di giorno in giorno sempre più tese le relazioni tra Madrid e Barcellona, tra il governo centrale spagnolo e la Generalitat catalana.
Alla decisione di quest’ultima di tenere un referendum il primo giorno d’ottobre, con l’obiettivo di avviare un processo volto a costruire una Catalogna indipendente, il primo ministro Mariano Rajoy e le altre autorità centrali stanno reagendo duramente: arrestando alcuni esponenti politici a lui avversi, mettendo sotto controllo i fondi gestiti dalle autonomie locali affinché non vengano usati per la consultazione elettorale, confiscando alcuni milioni di schede elettorali, monitorando e ostacolando riunioni e incontri pubblici. Il risultato è che la gente scende in piazza con le bandiere catalane, accusando il crescente autoritarismo della Spagna.
A Barcellona si intende votare; a Madrid si afferma che verrà usato ogni mezzo per impedire che la gente possa recarsi alle urne.
La situazione appare incerta. Molti catalani a partire dai responsabili delle istituzioni regionali e cittadine sembrano disposti ad andare fino in fondo. A fianco del presidente catalano Carles Puigdemont vi sono infatti varie centinaia di sindaci, determinati a rigettare un atteggiamento che giudicano autoritario. A Barcellona tanti paventano l’emergere di un nuovo franchismo e giudicano indispensabile, anche per questo, che la loro rivendicazione del diritto a votare sia soddisfatta.
Eccezioni e regole
Nello scontro tra Catalogna e Stato spagnolo la posta in gioco è altissima. Innanzi tutto è in discussione il futuro della Spagna, ormai sempre più divisa tra il nazionalismo centralista e l’aspirazione dei catalani a ottenere un pieno autogoverno. A Madrid sanno bene che dopo una Catalogna separata, in cima all’agenda politica si troverebbero presto i Paesi Baschi, la Galizia e altre aree analogamente desiderose di sganciarsi. E se a Madrid c’è grande apprensione, nessuno è tranquillo pure in vari altri Paesi europei.
In fondo, in Europa il referendum scozzese fu vissuto come un’eccezione britannica. La scelta compiuta dall’allora primo ministro conservatore David Cameron di dare alla popolazione della Scozia la facoltà di scegliere tra Regno Unito e Scozia indipendente venne giudicata, sul continente, assai peculiare e senza conseguenze. Tra l’universo della common law e quello della civil law, tra quanti guidano a sinistra e quanti guidano a destra, c’è una distanza enorme palesatasi pure in questa occasione: a conferma della specificità delle isole britanniche.
La Spagna, però, è al cuore della storia della statualità europea. Se a Madrid saranno costretti a subire le aspirazioni indipendentiste, in Europa potrebbe affermarsi un precedente in grado di essere sfruttato da molte altre realtà regionali (Fiandre, Corsica, Veneto, Baviera ecc.), dal momento che spinte disgregatrici si ritrovano in varie parti del continente.
Questo ci dice come la questione catalana riguardi l’intera Europa e soprattutto la sua parte continentale e occidentale. Sotto vari punti di vista, il conflitto politico in atto rinvia a una tensione essenziale: quella tra sovranità e democrazia. È infatti possibile che l’equilibrio tra potere e consenso, tra dimensione verticale e orizzontale, finisca per saltare e porti le istituzioni europee verso altri lidi.
Bisogna in effetti tenere presente che le nostre istituzioni si sono modellate ripensando e riformulando il vecchio potere monarchico. Dopo l’epoca medievale, lo Stato moderno si è affermato ponendosi al di sopra di ogni altra entità, quale soggetto sovrano, e imponendo la propria volontà in modo unilaterale: così da offrire servizi e imporre tributi anche in assenza di ogni consenso. Quando le monarchie assolute sono declinate, quello stesso potere sovrano ha incontrato il popolo e si è sforzato di trovare in esso la propria giustificazione. Il potere si è fatto allora rappresentativo, ma a dispetto di tutto ciò non ha smesso di mantenere la propria alterità rispetto alla società.
Poteri autoreferenziali
Sul piano giuridico-istituzionale, molti autori hanno evidenziato come con la crisi dell’assolutismo la corona non scompaia, ma semplicemente passi di mano: il re viene cacciato o ghigliottinato, ma lo scettro è consegnato al parlamento, quale nuovo sovrano. E nel corso del tempo all’interno dell’assemblea iniziano a costituirsi poteri che si fanno sempre più autoreferenziali, sottraendosi il più possibile a ogni giudizio popolare.
Non c’è allora da stupirsi se un gran numero di studi, anche e soprattutto di autori italiani (da Gaetano Mosca a Vilfredo Pareto), hanno mostrato come le istituzioni politiche democratiche servano di fatto a selezionare ristretti gruppi di potere: con il risultato che anche nelle democrazie il popolo non governa, ma è governato. Ed egualmente è importante ricordare come le moderne democrazie liberali si legittimino a partire dal consenso, dal sostegno che ricevono dalla società, dalla libera volontà espressa dagli elettori.
Questo compromesso democratico tra la sovranità di matrice monarchica e il processo politico che, con il voto, coinvolge le scelte formulate da quanti compongono la società civile non è, però, un compromesso facile. In effetti, un elemento si trova spesso in tensione con l’altro. E non c’è quindi nulla di sorprendente nel fatto che lo Stato rappresentativo spagnolo sia oggi disposto a mettere in discussione tante cose (modificando le proprie norme anche su temi cruciali), ma non voglia lasciare che la sua stessa esistenza possa essere decisa dalla maggioranza dei cittadini di una propria regione.
La pretesa catalana di votare sui confini, in effetti, minaccia la sovranità spagnola. E però i catalani chiedono semplicemente di applicare la regola democratica in un contesto cruciale: quello dell’appartenenza, o meno, allo Stato che oggi li governa. Carles Puigdemont e Oriol Junqueras (per ricordare due tra i protagonisti delle rivendicazioni separatiste) in piena coerenza con i principi democratici sostengono che soltanto i catalani stessi possono stabilire se sono spagnoli oppure no. E se non spetta a loro decidere, a chi altri dovrebbe spettare?
Rischi e vantaggi del voto
Nel corso degli ultimi due secoli, la democrazia ha rafforzato lo Stato. Il potere sovrano ha trovato nel voto popolare una forma di legittimazione formidabile ed è interessante rilevare che in molti casi l’emergere di nuove leadership (si pensi a Napoleone) sia stato accompagnato da plebisciti volti a dare sostanza, credibilità e legittimazione alle nuove istituzioni e ai nuovi dominatori. Nel 1866 il Veneto passò all’Italia dopo che l’Austria l’aveva ceduto alla Francia, ma il governo italiano ritenne opportuno che l’annessione fosse rafforzata da consultazioni popolari, sebbene ampiamente manipolate.
Oggi, però, le istituzioni statali potrebbero entrare in crisi proprio da richieste di voto: poiché una sovranità messa ai voti non è più in alcun modo tale.
Uno Stato che rende conto della sua esistenza di fronte a una parte della propria popolazione è come una religione senza dogmi: è un’istituzione che cambia radicalmente la propria natura, abbandonando le logiche del potere per abbracciare quelle del consenso, del dialogo, della libera espressione delle opinioni. C’è comunque da augurarsi che l’uscita dall’autoritarismo della statualità abbia luogo senza scontri e conflitti cruenti, e che alla fine si rivelino infondati i timori di tanti catalani sul possibile emergere di un nuovo franchismo, pronto a negare anche nel 2017 ai catalani il diritto a esprimere apertamente le proprie aspirazioni.
Da La Provincia, 24 settembre 2017