«Servi, infantili e immorali. Così ci vuole lo Stato sociale»

Alfiere del realismo politico, Kenneth Minogue si dichiara rassegnato all'imperfezione dell'uomo

4 Ottobre 2012

Il Giornale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Il suo ultimo libro è stato definito «iconoclasta», a partire dal titolo: La mente servile. La vita morale nell’era della democrazia (appena pubblicato in Italia dall’Istituto Bruno Leoni, pagg. 395, euro 24). Ma in effetti Kenneth Minogue non rientra nella categoria dei polemisti, tantomeno arrabbiati. L’ottantaduenne di origine australiana, professore di teoria politica alla London School of Economics, è piuttosto un conservatore coerente, che a partire dal suo primo libro, The Liberal Mind (1963), ha sviluppato una critica alla socialdemocrazia europea tenendosi nell’alveo del liberalismo di matrice inglese. Alfiere del realismo politico, Minogue si dichiara rassegnato all’imperfezione dell’uomo.

Secondo lui i tentativi illuministi, idealisti, marxisti di riformare la natura umana sono palliativi pericolosi. Modi di trasferire le responsabilità personali su uno Stato «moralista». Strategie politiche che finiscono per«trattare gli elettori come bambini». E quindi creare un atteggiamanto «servile» del cittadino nei confronti dello Stato. Incontriamo Minogue a Milano, è appena atterrato per partecipare a un incontro su Crisi europea, democrazia, demografia, e gli domandiamo se ha mai avuto modo ci fare due chiacchiere con il marxista Eric Hobsbawm, recentemente scomparso. Minogue sorride: «Ci siamo trovati a fianco qualche volta. A me l’idea di uno storico marxista fa un po’ ridere. Sapevo che lui non mi amava, quindi non c’è mai stato modo di scambiarsi qualche opinione».

Veniamo a uno degli argomenti del suo libro. Perché sostiene che la crisi del debito pubblico è in fondo una crisi di autocoscienza europea?
«Il welfare state europeo, per difendere i più deboli, aumenta gli aiuti ma non risolve i problemi. Guardia quello che succede in Inghilterra con le famiglie composte dalle sole madri. Vivono coi sussidi statali, non sono responsabilizzate. A volte finiscono per non curarsi dei figli, che crescono a loro volta senza competenze, come sbandati».

È un fenomeno generale in Europa?
«Penso che le competenze di una gran parte degli europei stiano declinando per questa forma di atteggiamento statale nei loro confronti. I governi, anche quelli liberali, ormai si sono abituati a sedurre i loro elettori. Promettono loro dei benefit. Ma non è tutto…».

Ci dica…
«Il costo di un welfare sempre più pesante, di un debito che cresce sempre più lo pagheranno le generazioni future. È un po’ come se stessimo rubando danaro ai nostri figli. Molta gente non si rende conto di questi effetti».

Quindi, anche grazie a questo atteggiamento di chi ci governa, siamo sempre meno responsabili?
«Certo, è lo Stato che tende a farsi sempre più carico di tutte le nostre esigenze. E tende a farlo accentrando il potere, piuttosto che, per esempio, delegandolo a organizzazioni caritatevoli, che invece conoscono meglio il territorio».

Questo significa che lo Stato ingigantisce sempre più…
«Certo. Secondo chi ci governa più potere lo Stato ha, più problemi riesce a risolvere. Non importa se hanno fatto delle gigantesche stupidaggini in passato: vogliono più potere. Guardi la situazione attuale: al governo in Europa c’è gente incompetente che chiede più potere, più tasse, più soldi per risolverei problemi che loro stessi hanno creato».

Ma c’è anche un risvolto culturale, oltre a quello economico, di questo fenomeno?
«Lasciamo che lo Stato finisca per decidere tutto quanto riguarda i comportamenti pubblici. E lo Stato, da parte sua, rischia ogni momento quella che il romanziere Henry James chiamava: “La brutalità delle buone intenzioni”. Per questo nel libro mi chiedo se la vita morale sia compatibile con la democrazia. Mentre la democrazia significa avere un governo che risponde all’elettorato, oggi i nostri governanti pretendono che siamo noi a rispondere a loro».

Uno Stato sempre più moralista per individui sempre meno morali, quindi…
«Lo si vede anche dalla comunicazione pubblica. I governi ci dicono come comportarci, cosa mangiare (per esempio scoraggiando l’uso di cibi poco sani, il fumo, l’alcool), o addirittura come parlare: il politicamente corretto è un’ altra faccia di questo fenomeno. Riducono la gente a bambini: gli danno soldi come si darebbe la paghetta a un bimbo, e spiegano loro come comportarsi».

Storicamente quando, secondo lei, le democrazie hanno preso questa piega «moralistica».
«Credo sia avvenuto nel secondo dopoguerra. Quando i governi europei, che avevano fatto l’esperienza di un potere esteso e necessario durante il conflitto, hanno finito per usare gli stessi metodi in tempo di pace, per riorganizzare la società».

Da Il Giornale, 4 ottobre 2012

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