Servizi pubblici locali: meno carte dei diritti, più concorrenza

È possibile mettere nero su bianco tutti i diritti e i reclami che vogliamo, ma finché la lotta sarà fra utenti e autorità pubbliche, non c'è e non ci sarà partita

23 Febbraio 2016

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Nel nuovo decreto sui servizi pubblici, si apprende dalla stampa, potrebbe essere introdotto un indennizzo agli utenti per ritardo superiore a sessanta minuti o cancellazione della corsa.

C’è da festeggiare? Non ne siamo così sicuri. Che il cliente abbia sempre ragione, anche quando attende invano un autobus e non solo al ristorante quando riporta indietro il vino che sa di tappo, a noi parrebbe un’idea alle soglie dell’ovvietà. Se così non accade, non è perché manchi una carta dei servizi, che anzi è sempre necessariamente presente. È così per un motivo “strutturale”: mentre i ristoranti sono tanti e in concorrenza tra loro, e al cattivo servizio di uno il cliente può replicare rivolgendosi altrove, nell’altro caso non ha alternative: c’è solo un’azienda di servizi pubblici in città ed essa è, per giunta, di norma del Comune. Non sono i diritti dell’utente o le carte dei servizi a far la differenza: quanto il fatto che in una situazione egli è un consumatore, che paga un servizio che ha scelto, e nell’altra invece è, volente o nolente, finanziatore di un servizio rispetto al quale, se non è soddisfatto, può solo decidere di sostituire con un’alternativa radicalmente diversa: ecco perché, ad esempio, a Roma il traffico è sempre così congestionato di veicoli privati.

È possibile mettere nero su bianco tutti i diritti e i reclami che vogliamo, ma finché la lotta sarà fra utenti e autorità pubbliche, non c’è e non ci sarà partita.

Questo lo dimostra anche un fatto politico di una certa rilevanza.
Anche se a pochi mesi dal suo insediamento il governo Renzi aveva annunciato la riforma dei servizi pubblici locali, il decreto in esame non affronta ancora l’equilibrio fra pubblico e privato nella fornitura di questo genere di prestazioni. Il possibile fallimento per le partecipate non impedisce, ad esempio, di ricostituire una società pubblica che abbia il medesimo scopo di quella precedentemente dichiarata insolvente. L’impressione è di essere di fronte a una operazione gattopardesca.
In qualsiasi mercato in cui tutti i giorni chi vende si confronta con chi compra, i “diritti dei consumatori” non sono una mera enunciazione di principio: ma un semplice fatto. Chi non li rispetta corre il rischio di rimetterci reputazione e clientela.

Se però l’operatore è uno e uno soltanto e il suo operato non viene messo in discussione con cadenza periodica, ma anzi viene protetto dal governo locale, la situazione è ben diversa. Le dichiarazioni di principio male non fanno. Ma non è tramite esse che i pendolari recupereranno la loro libertà di scelta, dentro la quale rientra il diritto di non comprare da venditori che non li trattano come si deve.

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