Con Alberto Mingardi, scrittore, accademico e imprenditore di orientamento liberale, tra i fondatori dell’Istituto Bruno Leoni, Libero ha commentato il rinnovato scontro tra abortisti e antiabortisti. La Corte Suprema Usa ha revocato la sentenza Roe vs Wade del 1973 che aveva legalizzato l’aborto. La decisione ora lascia liberi gli Stati di vietare l’interruzione di gravidanza.
Non le sembra una scelta “liberale” per definizione?
«Nella Costituzione degli Stati Uniti o nel Bill of Rights non c’è nulla che riguardi esplicitamente l’aborto. In Europa ci stiamo raccontando che la Corte Suprema di Trump ha voluto impedire alle donne di abortire. Abbiamo a che fare con qualche cosa di diverso. Cioè con dibattiti lunghi decenni rispetto al ruolo della Corte stessa e della giurisprudenza. L’effetto politico, a breve, è quello di rendere più polarizzata la discussione, grazie anche alla rapidità con cui Biden è saltato sul tema in vista delle elezioni di medio termine».
Quindi lei attribuisce alla vicenda una lettura elettorale?
«L’intenzione dei giudici penso sia molto diversa. Il grande Nino Scalia diceva di sentirsi in imbarazzo quando i militanti “cristiani” lo ringraziavano per la sua posizione su Roe vs Wade. Perché la sua non era una posizione religiosa ma giurisprudenziale: se la Costituzione fosse stata scritta diversamente, avrebbe avuto una posizione diversa. Il punto di Scalia era che l’aborto non potesse essere lasciato a una pronuncia della Corte Suprema. Ci voleva una legge, esito di un dibattito pubblico e democratico».
I componenti dellla Suprema Corte Usa vengono nominati dai presiviaggiare al di sopra delle ideologie?
«Stiamo parlando dei più insigni giuristi della loro generazione. Non sono militanti di partito. Il diritto è una faccenda complessa, dove non mancano mai margini di interpretazione, e i giudici si dividono su come leggere la legge, non sulla base dell’appartenenza democratica e repubblicana. Non banalizzerei ciò che fa la Corte».
Da liberale, pensa che l’aborto sia un diritto?
«Non da liberale ma da essere umano, posso solo dirle che si tratta di questioni che a me fanno tremare i polsi. Chi rivendica la libertà di scelta della donna sopra ogni altra cosa finge di non vedere che c’è comunque un’altra vita in ballo. Chi sventola manifesti “pro vita” finge di non capire che si tratta di decisioni prese spesso in momenti difficilissimi e in contesti sociali altrettanto difficili, da persone magari giovanissime che vedono franare ogni piano di vita… Mi sembra che l’aborto legale sia nettamente meno peggio del contrario, in ragione delle conseguenze che la sua criminalizzazione potrebbe avere. Ma mi spaventa la retorica dell’aborto come diritto, quella dei meme e delle t-shirt di questi giorni, perché prelude a una sorta di routinizzazione dell’interruzione di gravidanza. La libertà è anche il dolore di certe scelte, non vanno banalizzate».
In Italia i temi etici superano la dicotomia destra/sinistra. Nel dibattito sull’aborto la divisione sembra essere: diritto della donna o diritto del bambino…
«Nessuna persona con un minimo di sale in zucca pensa che sia possibile in Italia rivedere la legge 194. L’opinione pubblica è compatta a favore dell’aborto legale. I cattolici che avvertono l’aborto come un problema farebbero meglio a investire le proprie energie in iniziative all’interno della società di adozione di bambini non voluti».
Chi è contro l’aborto è a favore della tutela della libertà del nascituro. Come si stabilisce la priorità?
«La libertà mi sembra sia solo quella della donna, perché essere vivo e in qualche misura in grado di compiere scelte autonome è una precondizione della libertà. E questa il feto non ce l’ha. Ma c’è il conflitto fra la libertà di usare il proprio corpo nel modo in cui si ritiene e una vita “in potenza”. Nel caso degli adulti, in alcune condizioni noi dichiariamo la “morte cerebrale” e sosteniamo che la vita umana in qualche modo degeneri a vita meramente biologica. Succede il contrario col feto: ma quando? In che momento preciso? Sono tutti dibattiti nei quali, alla fine, si arriva a qualche soluzione imperfetta, perché non ve ne sono altre. Il fatto che un comportamento non sia “proibito” non significa che debba piacere a tutti e a tutte. Prendiamo atto della drammaticità delle scelte e riconosciamole come difficili. È proprio per questo che debbono essere libere».
Da Libero, 26 giugno 2022