Dovrebbe essere chiaro che per la difesa comune occorre decidere meglio e non solo spendere di più
Non è facile ritrovare un po’ di spirito europeo, tra i canti funebri e le flagellazioni che ci infliggiamo da soli o con l’aiuto di qualche leader straniero. D’altra parte, se è bastato il cambio di politica estera degli Stati Uniti, brutale quanto si vuole ma comunque non così inimmaginabile, a far vacillare le fondamenta e le ragioni d’essere dell’Unione europea, vuol dire che né le une né le altre erano solide e profonde. O che la scossa è stata tale da essere ancora in fase di assestamento.
Per individuare qualcosa di concreto da cui ripartire, alla conferenza di Monaco sulla sicurezza la presidente Von der Leyen ha annunciato di voler proporre al Consiglio l’attivazione della clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa. Si tratta di una possibilità, prevista dal Patto di stabilità e usata in pandemia, di derogare ai vincoli di bilancio nel caso di grave recessione economica nell’Ue, prorogabile di anno in anno in ragione della persistenza della recessione. Se il Consiglio accetterà questa proposta, la relativa spesa sarà condizionata: ciò significa che non solo dovrà essere imputata al settore della difesa, ma verrà anche monitorata dall’Unione nel raggiungimento degli obiettivi, secondo una formula rodata con i Pnrr.
Si tratta di una buona idea da cui (ri)partire? I governi europei sanno bene che hanno un problema di spesa da quando – non da ora – Trump ha intimato loro di provvedere da soli a difendersi. Ma spendere non è una condizione sufficiente alla sicurezza europea e, viceversa, partire da qui rischia di essere una falsa partenza: avere più carri armati e droni nei propri depositi può essere inutilmente dispendioso se non si è d’accordo sul se e quando usarli. Poiché l’ottimo è nemico del bene, si può pensare che aumentare le possibilità di spesa statale sia il tanto a cui l’Europa può concretamente ambire. Il doppio fallimento del summit a Parigi – per le istituzioni europee che lo hanno guardato passivamente da Bruxelles e per i governi che vi hanno partecipato in maniera inconcludente – è una prova che, in mancanza di una politica comune, ci si deve accontentare di fare deficit individuale. Una tattica che a casa loro i governi conoscono molto bene. Ma siamo sicuri che la vecchia Europa non possa portare in dote qualcosa di più dell’aumento della spesa pubblica nazionale?
Nel dicembre 2017, a margine di un Consiglio Affari esteri dell’Unione, un gruppo di Stati diede avvio a una struttura permanente di cooperazione per la difesa. La Pesco riunisce, da allora, 26 dei 27 Paesi Ue, con Irlanda, Portogallo e Danimarca che si sono aggiunti nel tempo e Malta che ne è rimasta fuori. Lo scopo di questa integrazione differenziata è quello di sviluppare insieme capacità comuni di difesa, a carico della spesa nazionale ma con forme di sostegno europee. Se la principale difficoltà per l’Europa è di parlare con una voce unica di difesa e sicurezza, la Pesco dimostra che si può anche agire a livelli diversi di cooperazione, in cui i “volenterosi e capaci”, pochi o tanti che siano, possono cominciare a mettere insieme risorse, formazione, strutture e dotazioni comuni, anche con forme di cooperazione specifica su singoli progetti. La neutralissima Svizzera partecipa, ad esempio, a due dei più di 60 progetti della Pesco. La decisione istitutiva della Pesco prevede che nel 2025 sia condotta una revisione strategica della cooperazione. Un’occasione buona, quindi, per partire da ciò che già c’è, errori e inefficienze compresi, con chi vuole starci, per rafforzare le linee comuni già esistenti e fare un’utile conta delle reali volontà di integrazione nel settore della difesa.
È chiaro anche alle istituzioni europee, la Commissione su tutte, che per la difesa comune occorre decidere meglio e non solo spendere di più. In mancanza di una visione comune, decidere meglio può voler dire (iniziare a) decidere e agire in maniera differenziata, per raggiungere anche quel grado di interoperabilità e standardizzazione che Mario Draghi ha auspicato ieri per la difesa europea. Lo Spazio Schengen ci ricorda che a volte partire in pochi è il modo migliore per raggiungere risultati generali e comuni. Se ci fossero dei governi più genuinamente convinti di altri, dovrebbero ripartire da qui non per ambizioni proprie, ma per dimostrare, almeno loro, di crederci ancora un po’, all’Europa. Altrimenti, come potrebbero crederci i cittadini?