La decisione del governo di far proprio il ddl sicurezza è irrispettosa verso il Parlamento e verso la sua funzione nel nostro sistema
L’anno scorso, quando i ministri Nordio e Piantedosi presentarono alle Camere il disegno di legge sulla sicurezza, si sollevò un ampio dibattito sulla deriva securitaria del governo Meloni.
I nuovi reati, le aggravanti e gli aumenti di pena, l’irrigidimento dell’ordinamento penitenziario e l’incremento dei poteri di polizia sono stati oggetto di critiche estese per l’impronta panpenalista e propagandistica che recavano. Ma non avevamo ancora assistito al peggio. L’ultimo Consiglio dei ministri si è imposto sul procedimento di approvazione in corso in Parlamento e ha fatto proprio con decreto legge il progetto in esame alle Camere. Poiché al peggio non c’è fine, la parte più irrispettosa nei confronti della funzione parlamentare è stata la motivazione. Il ministro Piantedosi ha riconosciuto che il governo ha voluto in tal modo accelerare i tempi di approvazione e dare una data certa a un provvedimento «che è andato già troppo per le lunghe». Una delle differenze tra regimi autoritari e democrazie è la concezione del tempo. Un ostacolo all’efficienza per i primi, un elemento politico necessario per le seconde. Il tempo serve non solo a riflettere, ma soprattutto a garantire il confronto tra maggioranza e minoranze che è l’anima della funzione parlamentare.
Nel caso del ddl sulla sicurezza, l’insofferenza del governo si è manifestata sulla necessità di andare a una terza lettura per alcune modifiche richieste in Senato. Un’insofferenza alla natura stessa del Parlamento, che non è un semplice organo di ratifica del governo. La questione è grave per un motivo e seria per un altro. È grave perché dimostra l’indifferenza del governo per i più basilari principi dello Stato di diritto. La straordinaria necessità e urgenza che dovrebbero giustificare il ricorso al decreto legge si riducono alla volontà del governo di esibire un tempo certo di approvazione.
L’abuso dei decreti legge è una delle prassi illegittime più aperte e note del nostro sistema legislativo. Siamo persino indifferenti al fatto che vi si ricorra per disciplinare la materia penale. Ma un uso così platealmente acrobatico per superare l’esame parlamentare in corso riguarda l’equilibrio stesso che deve mantenersi tra governo e parlamento, prima ancora che l’esercizio della funzione legislativa. La questione è poi seria perché denota la fragilità della maggioranza di governo in parlamento. Difatti, delle due l’una. O i tempi di esame alle Camere sono stati quelli fisiologici e imposti dall’agenda parlamentare e da un approfondito e animato iter legislativo. O la discussione stava andando per le lunghe per via di un mancato accordo tra i gruppi di maggioranza, in particolare di Lega e FdI, stretti tra le fughe in avanti del primo e i dubbi nel frattempo incamerati dal secondo dopo i rilievi del Quirinale e i dubbi emersi durante le audizioni informali. Nel primo caso, l’iniziativa del governo sarebbe ai limiti della sovversione. Nel secondo caso, dimostrerebbe che non dispone della maggioranza parlamentare e debba ricorrere a forzature di questo grado per ottenere la maggioranza semplice necessaria ad approvare le leggi. E possibile che la realtà sia più banale.
Il principale partito di maggioranza ha dato un po’di agio politico alla Lega, in una fase interna non facile per le scelte che il governo deve compiere su altri fronti. Salvini su questo decreto ha puntato molto. Se poi le sue aspettative saranno ridotte a più miti propositi durante la conversione del decreto o persino per i rilievi che il Colle, in fase di emanazione dello stesso, potrebbe sollevare fino a rifiutarne la firma, il governo — a proposito di tempo — ne avrà comunque guadagnato un altro po’.