Ogni autunno, assistiamo a un dibattito sulla legge di bilancio che, come la caduta delle foglie, si presenta sempre simile a se stesso: il rompicapo delle coperture, le malcelate tensioni tra ministri e tra forze di maggioranza, gli “effetti nimby” sull’aumento delle tasse, la corsa contro il tempo. Quest’anno, però, le cose sono un po’ diverse. Per la prima volta, infatti, la legge di bilancio viene approvata all’interno del nuovo sistema di governance europeo introdotto con la modifica al Patto di stabilità, quello strumento per la stabilità delle politiche di bilancio nazionali che tanto poco piace agli Stati del “Mezzogiorno d’Europa” ma che, paradossalmente, ha finora funzionato male tra eccessivo rigore da un lato e inefficacia dall’altro, fino a essere sospeso dalla pandemia a ora.
Durante la sospensione del Patto e nel generale clima di malcontento sul suo funzionamento, in parte perché troppo rigido e in parte perché, viceversa, troppo poco incisivo sui determinanti della crescita economica, gli Stati membri dell’Europa e la Commissione hanno avviato un percorso di modifica che da un lato fornisse un quadro più flessibile alle politiche di bilancio e finanza pubblica, dall’altro fosse più efficiente nel caso in cui si rendesse necessario un percorso di rientro della spesa pubblica.
Il nuovo Patto ha delle caratteristiche molto diverse dal precedente che potrebbero riassumersi nell’idea che la sostenibilità della spesa non dipenda tanto dal suo rapporto con le entrate, ma dalla capacità (stimata) di aiutare l’economia nazionale a crescere. Cose più facili a dirsi che a farsi, che affidano la formula finale della sostenibilità anche alla capacità dei governi nazionali di convincere la Commissione della bontà del proprio operato e delle proprie intenzioni.
In questo cambio di paradigma, si inserisce la legge di bilancio che Meloni e Giorgetti si apprestano a presentare alle Camere. Una legge che quindi ha un doppio affaccio: da un parte si rivolge agli elettori italiani. Dall’altro, però, si rivolge con una potenzialità politica maggiore del passato alla Commissione europea. La proposta di legge di bilancio non è l’unico atto che le va presentato. Con esso, è in corso di invio a Bruxelles anche un Piano strutturale di bilancio pluriennale in cui il governo – secondo le nuove regole del Patto di stabilità – prova a convincere la Commissione della bontà della spesa pubblica prevista e della traiettoria di rientro del debito stimata, anche grazie all’indicazione di una serie di riforme. In sostanza, oltre agli obiettivi di aggiustamento dei conti pubblici secondo i vincoli quantitativi sul debito e sul deficit, nel nuovo sistema lo Stato può negoziare in modo più chiaro con la Commissione un Piano col quale convincerla, attraverso la previsione di investimenti e riforme, della solidità e dell’affidabilità della politica di bilancio.
In questo cambio di paradigma, le leggi di bilancio sono gli strumenti operativi di realizzazione dei Piani. Una settimana fa, il governo ha presentato il Piano strutturale di bilancio al Parlamento, prima di inviarlo alla Commissione. L’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge di bilancio rappresenta quindi già il primo tassello per l’attuazione della programmazione prevista dal Piano, secondo la nuova impostazione del Patto di stabilità.
Riforme e investimenti come condizioni di agibilità della spesa ricordano il metodo del Pnrr. Oltre al metodo, anzi, è la stessa filosofia di fondo del Pnrr a essere riproposta, secondo la quale la sostenibilità torna a essere palesemente un concetto più politico che economico.
La combinazione di limiti quantitativi (numerici) e negoziazione dei Piani strutturali tra i governi nazionali e la Commissione non è un cambio di poco conto, specie dal punto di vista degli esecutivi. Vuol dire, più che una esasperazione dei vincoli europei, una prova manifesta di capacità dei governi nazionali a convincere la Commissione della bontà del proprio programma, compreso quello di riforme. Una prova politica “interna”, come capacità di mantenere compatta la maggioranza e, soprattutto, di non mortificarne l’espressione parlamentare, sostanzialmente assente da questo confronto. Ma anche una prova di politica “esterna”, verso un’Europa e, soprattutto, una Commissione che ha mostrato negli ultimi mesi quanto sia facile ammaliarla.
La forza propria dipende spesso dalla debolezza altrui. Il governo Meloni ha due anni ma non li dimostra, dato il consenso di cui continua a godere. L’auspicio per questa sua terza manovra di bilancio è quello di redigere una legge che abbia una sua solidità, al di là della debolezza del confronto in Parlamento con le opposizioni e al di là anche degli accomodamenti che la transizione della Commissione dalla presidenza Ursula 1 alla presidenza Ursula 2 ha mostrato.