Solo retorica nella Carta dei diritti per Internet

La Dichiarazione dei diritti e dei doveri in Internet serve alla classe politica a mettere la sua simbolica impronta in uno spazio aperto e spontaneo e, perciò, refrattario al potere politico

19 Ottobre 2014

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione Teoria e scienze sociali

La Commissione per i diritti e i doveri relativi a internet, istituita alla Camera per volontà della presidente Boldrini, ha pubblicato la settimana scorsa un decalogo di diritti per il web come «strumento indispensabile per dare fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale».

Non si comprende quale tipo di forza giuridica si possa dargli, e pertanto è probabile non sia uno strumento utile, né di certo indispensabile al futuro della rete.

Internet, dal punto di vista giuridico, non è uno spazio esterno alla vita reale delle persone. Ha caratteristiche che lo rendono difficilmente soggetto alla legislazione di un singolo Stati, ma i diritti umani restano tali dentro e fuori la rete. Non si smette di essere persone quando si naviga. E perciò non si smette di essere titolari di quei diritti che, come persone, sono già garantiti a ognuno di noi anche a livello costituzionale. 

Che lo ribadisca una nuova dichiarazione dei diritti è semplice retorica – o a un artificio per introdurre nuove regolamentazioni.  Specie se alcuni di essi assomigliano più a diritti di prestazione che a diritti di libertà. La previsione del diritto di accesso alla rete o all’educazione all’uso consapevole di Internet non consentirà, di per sé, il superamento di un digital divide ancora a due cifre o la dotazione di personal computer agli studenti.

Internet è parte della realtà. Come tale, ne riflette imprevedibilmente vizi, virtù, vantaggi e pericoli. Come nella vita ‘vera’, anche nel web possono capitare o trovare enfasi truffe e illeciti. Non sarà il decalogo scritto da Rodotà a evitarli o punirli, non più di quanto già non possano essere evitati e puniti dal diritto vigente.

Ma la Dichiarazione dei diritti e dei doveri in Internet, a ben vedere, non serve a questo. Serve piuttosto alla classe politica a mettere la sua simbolica impronta in uno spazio aperto e spontaneo e, perciò, refrattario al potere politico. 

La presidente Boldrini ha dichiarato che il web non può essere lasciato “in mano ai più potenti”.

Se c’è una cosa che del web abbiamo capito, è che il web non è rigidamente in mano ai potenti. Dietro uno schermo di qualche pollice, si nasconde uno spazio sconfinato per l’inventiva umana, un luogo indefinito di possibilità, un orizzonte illimitato dove sorgono e tramontano ogni giorno idee nuove. Su Internet la competizione – delle idee, dei pensieri, dei prezzi – non ha un’unica regia e non esistono posizioni di ‘potere’ fisse. E se anche vi fossero, non si capisce come una pesante infiltrazione del potere politico, quello vero, possa ridurle.

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