Paolo Vita-Finzi costituisce un unicum nella storia letteraria italiana. È il principe della parodia, immortalata nella più volte pubblicata Antologia apocrifa, avendo egli steso e rivisto pasticci di scrittura che rifacevano pari pari liriche, brani, riflessioni di grandi uomini di cultura, da Eugenio Montale al caso Nixon rivisto da Vilfredo Pareto, da Guido Gozzano rinato nel 1950, a Giuseppe Ungaretti, finalmente a Giovanni Gentile. Quest’ultimo, tuttavia, era l’unico non parodiato, perché riprodotto in un brano autentico che il lettore poteva invece intendere come fosse ricostruito per venir messo alla berlina. Va detto che soltanto conoscitori accurati delle lettere si sono potuti permettere ricorsi ad ardue parodie, fino ai casi massimi del Satyricon di Petronio e del Baldus di Merlin Cocai/Teofilo Folengo.
Nato nel 1899, entrato in diplomazia nel 1924, Vita-Finzi fu vittima delle leggi razziali nel 1938 e chiuse la carriera a Budapest nel 1964. Stese diversi libri, frutto di pazienti ricerche e letture, condotte in più Paesi e su più lingue. Fra questi vanno ricordate Le delusioni della libertà, apparse nel 1961 da Vallecchi, dopo essere in parte uscite sul settimanale Il Mondo. Sono compresi diciotto brevi capitoli, nei quali si tracciano i profili di alcuni tra i principali intellettuali italiani e francesi, che avrebbero tradito gli ideali democratici, agevolando la nascita e lo sviluppo del fascismo. Le capacità di scrittore si rinvengono pure nello stile, che è stato definito «chiaro e brillante», capace di avvincere il lettore ricorrendo a singoli personaggi e, insieme, al più ampio affresco di una complessa epoca.
Vita-Finzi non si lascia mai travolgere da conoscenze dirette: rimane lontano da personaggi da lui frequentati, quali Antonio Gramsci e lo stesso Pietro Gobetti, dei cui fondamenti liberali dubita, con notevole ragione. Conoscitore profondo del comunismo e della violenza perpetrata nell’Urss, si duole: «La rivoluzione sovietica è il più grande tentativo di deviazione degli istinti, di razionalizzazione della storia, il più grande atto di violenza che l’umanità sinora ricordi».
L’Istituto Bruno Leoni, che ripropone la raccolta dei saggi, chiarisce come Vita-Finzi volesse «mostrare come negli anni a cavallo tra Otto e Novecento la causa della democrazia liberale fosse stata tradita da quegli intellettuali italiani e francesi che si erano lasciati sedurre ora (a sinistra) dal mito del popolo e della nazione, ora (a destra) da quello dell’élite virtuosa e dell’uomo forte».
Non c’è mai rinuncia a giudizi che possono apparire estranei al pensare comune. Meritano più di una riflessione le denunce verso Benedetto Croce contrario sia alla democrazia sia al parlamentarismo, mentre sfidano comuni sentimenti i giudizi espressi su scrittori quali Vilfredo Pareto, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici, Giuseppe Rensi, per tacere dai frequenti ritorni all’opera svolta da La Voce. E poi Vita-Finzi traguarda da Filippo Tommaso Marinetti a Gabriele d’Annunzio, da Giovanni Giolitti ad Antonio Salandra, passando per il «radioso maggio» e le rivolte delle minoranze.
Paolo Vita-Finzi, Le delusioni della libertà, a cura di Claudio Giunta, con un saggio di Francesco Perfetti, IBL Libri ed., pp. LXVI + 222