Con Nudge. Una spinta poco gentile?, Sergio Di Filippo ci consegna un’attenta analisi della teoria del cosiddetto nudge, il “pungolo”: ovvero della “spinta gentile” (IBL Libri, pagine 122, euro 15), patrimonio del filone economico denominato behavioral economics, economia comportamentale. Uno dei meriti del lavoro è che tenta di sottrarre un tema così importante delle scienze sociali alla pretesa monopolistica di una certa scienza economica; un fenomeno letto solo a partire dalle particolari lenti di una sola dimensione del sapere: quella economica comportamentale. Al contrario, l’autore interpreta il fenomeno e analizza le questioni ad esso relative attingendo ad una serie di argomenti che spaziano dall’economia al diritto, dalla teoria politica alla sociologia, delineando un quadro teorico decisamente più interessante, per quanto complesso e problematico.
Obiettivo dichiarato del volume di Di Filippo è tentare di andare oltre la superficie dell’ossimorico “paternalismo libertario”; per analizzare tutto ciò che si cela dietro le apparenze, per comprendere quali sono i meccanismi attraverso i quali i nudges si mostrano così efficaci e, infine, cogliere qual è il prezzo, spesso occulto, che l’homo democraticus, in una società aperta, rischia di dover pagare.
La tesi di fondo del “paternalismo libertario” che adotta il nudge come strumento di politica pubblica è che «le preferenze delle persone sono un prodotto del pungolo. È il pungolo a costruirle. Dopo aver ricevuto quella spinta gentile, gli individui sono felici e forse addirittura riconoscenti» (C.R. Sunstein). Quindi, potremmo sintetizzare che, per essere liberi, poter scegliere non è affatto sufficiente, ma è necessario che gli individui siano in grado di orientarsi e perché ciò avvenga in modo appropriato, gli stessi individui hanno bisogno di strumenti che li aiutino a raggiungere gli obiettivi che si prefiggono. Il presupposto della tesi è che chi agisce spesso non sappia come raggiungere la destinazione desiderata e perciò un tale soggetto, in assenza di una “spinta gentile”: non agirebbe liberamente.
Il volume è articolato in quattro capitoli, ciascuno dei quali prende in considerazione un aspetto del fenomeno. In primo luogo, l’autore sottopone a severa critica i capisaldi della costruzione teorica del paternalismo libertario, mostrando come tale costruzione non sia così fondata, anche dal punto di vista scientifico. Un edificio teorico che, a detta dell’autore, appare costruito sulle sabbie mobili di incerte premesse teoriche, come ad esempio il considerare l’esistenza di una sola possibile razionalità o il dare per scontato che i biases (trappole cognitive) che vengono osservati in laboratorio si ripetano sistematicamente anche nella realtà; ed ancora, la convinzione che a tali trappole cognitive debba rimediare la Stato, come se la razionalità di coloro che operano per conto dell’autorità potestativa che noi chiamiamo Stato, per il semplice fatto di lavorare per lo Stato, sia superiore a quella dei tanti che lavorano per altre agenzie; ed infine, si finge di credere che tale pungolo sia necessariamente benevolo e disinteressato.
In secondo luogo, l’autore analizza il paternalismo libertario sotto il profilo dei mezzi utilizzati e prende in considerazione i “nudges manipolativi” e, in tal senso, il paternalismo libertario andrebbe assunto come un metodo di governo che presenta alcuni aspetti controversi, come ad esempio la mancanza di trasparenza, di pubblicità e, di conseguenza, di accountability, tutti elementi che qualificano i regimi democratici e liberali.
A questo livello della discussione si inserisce un terzo tema affrontato da Di Filippo: come limitare l’utilizzo di un simile dispositivo di governo e ricondurlo nell’alveo delle policy tipiche dello stato di diritto e dei regimi democratici, considerato che l’effetto manipolativo potrebbe essere l’obiettivo principale del pungolo? Dal momento che in una società aperta, liberale e democratica, i fini non giustificano i mezzi, è necessario che si considerino gli aspetti normativi, giurisdizionali e sociali di tale fenomeno e si riaffermino con chiarezza i principi liberali su cui si fondano le democrazie occidentali, contro l’imperium paternale di kantiana e tocquevilliana memoria, dal momento che la storia insegna che la libertà non si perde mai tutta in una volta, ma un po’ alla volta e nell’indifferenza dei più.
da Avvenire, 15 agosto 2023