Per far ripartire il paese, l’ultima proposta del Movimento 5 Stelle è di rendere permanente la decontribuzione Sud, vale a dire lo sconto del 30 per cento sui contributi per le aziende che assumono dipendenti nelle regioni del Mezzogiorno. Voluta dal governo Conte, questa opzione scade il 30 giugno, ma i pentastellati propongono che diventi «strutturale» anche in ottica Pnrr e sperano nell’appoggio da parte del ministero di Mara Carfagna.
È una buona idea? Visti da Nord lo ha chiesto a un economista di estrazione liberista: Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’istituto Bruno Leoni, il quale, dopo averci riflettuto, risponde in modo inatteso che, tralasciando l’obiezione che sicuramente l’Unione europea solleverebbe sugli aiuti di stato, la decontribuzione «è efficace per il Sud perché lo aiuta a essere più attrattivo senza dirgli per forza dove deve andare», cioè senza calare dall’alto ricette per lo sviluppo che poi puntualmente non funzionano.
«Quindi, se questo regime venisse prorogato di qualche anno sarebbe positivo – dice Stagnaro – ma dubito che si possa rendere strutturale a causa dei vincoli europei sulla concorrenza». Proprio perché è liberista, Stagnaro vede di buon occhio gli stimoli indiretti agli investimenti produttivi ma che lasciano spazio di manovra agli operatori economici ed è più scettico, invece, su finanziamenti, bandi, riserve del 40 per cento e tutti i paletti che un piano come il Recovery pone perché risente, spiega, di un approccio dirigista.
«La parte che mi piace di più del Pnrr è quella delle riforme – prosegue – perché sono convinto che solo rivoluzionando la macchina pubblica attraverso il digitale, e parlo di sanità, scuola, giustizia, enti locali, si possa davvero rilanciare il Sud, ma anche altre aree d’Italia che in questo momento risentono della mancanza di personale qualificato». La paura che il Pnrr possa fallire l’obiettivo di riequilibrio territoriale è diffuso nelle forze politiche, nonostante gli incoraggiamenti del premier Mario Draghi, il quale, giustamente ha detto a Sorrento che non sta scritto da nessuna parte che i fallimenti del passato si debbano ripetere. Ma il fatto che le risorse continuino a essere assegnate a chi è maggiormente preparato a spenderle, a scapito invece di chi ne avrebbe maggiore bisogno e che sarà questo a determinare il successo del Pnrr sta inducendo una riflessione anche negli ambienti del Pd.
«Non mi sorprende che ci siano dubbi di questo tipo – dice l’economista – perché tutti sanno che le cose cambieranno veramente solo se si interviene sul funzionamento della pubblica amministrazione. Vale per l’Italia e vale a maggior ragione per il Mezzogiorno». Possono essere utili i poteri di sostituzione nei confronti delle amministrazioni locali che la governance del Pnrr attribuisce allo stato? «È una possibilità, certo, ma bisogna rovesciare la logica mettendo i destinatari dei fondi nelle condizioni di poterli spendere».
Un punto di vista che assomiglia molto a quello che il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, va dicendo da tempo. Insomma, digitalizzazione e riforme della pubblica amministrazione partendo dalla scuola e quello che servirebbe al Sud subito. Il tempo, però, non gioca a favore perché il Pnrr ha una tabella di marcia e i bandi sono già partiti dimostrando, in alcuni casi, la difficoltà di destinare il 40 per cento alle regioni del Mezzogiorno. «Non ci vuole poi così tanto. Mi è capitato di seguire l’evoluzione positiva di una asl campana qualche tempo fa che è avvenuto in breve tempo con risultati inaspettati di velocizzazione dei pagamenti. Da lì bisogna cominciare ad agire».
dal Corriere del Mezzogiorno, 21 maggio 2022