13 Giugno 2022
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Diritto e Regolamentazione Politiche pubbliche
Gli ultimi dati sui salari lordi diffusi dalla Cgil e dalla Fondazione Di Vittorio confermano quello che si sa da tempo. Rilevare che nel 2021 i salari italiani sono stati di 15mila euro inferiori a quelli della Germania e di 10.700 a quelli della Francia significa semplicemente trovare ribadito che la nostra produttività è sempre più bassa e la tendenza non s’arresta. Il divario era già significativo nel 2019.
Per quale motivo i lavoratori italiani accettano paghe tanto ridotte? Il motivo è semplice: non hanno alternative. Dopo decenni d’interventismo, la produttività media è modesta e chi volesse spostarsi da un’azienda all’altra oppure mettersi in proprio non necessariamente farebbe un affare. C’è infatti qualcosa di mastodontico e perfino mostruoso che sbarra la strada a chi intende lavorare con efficacia: si tratta del settore pubblico.
Da tempo non cresciamo e, in particolare, non crescono i redditi. Per iniziare a uscire da questa situazione drammatica bisognerebbe ridurre la quantità di ricchezza gestita dalla politica e cancellare la maggior parte delle norme che intralciano la possibilità d’intraprendere. L’apparato pubblico soffoca l’economia ed è lì la vera causa del disastro retributivo. Non è neppure ragionevole nutrire illusioni. Stanno infatti venendo al pettine le scelte irresponsabili della politica monetaria espansiva di Mario Draghi, prima, e di Christine Lagarde, poi.
Con questa impennata dei prezzi causata dall’emissione di una montagna di euro, molte famiglie si trovano in una situazione sempre più difficile, ma le aziende non sono in condizione di alzare i salari, dato che pure queste stanno spesso faticando a sopravvivere. In tale quadro, è anche ragionevole attendersi tensioni sociali.
Di fronte ai bassi salari italiani spesso viene evidenziata la necessità di operare una riduzione del cuneo fiscale, ma questo si potrà fare soltanto se si avvia una riduzione del perimetro statale. Finché continueremo a ragionare entro logiche che guardano allo Stato quale necessario fattore di sviluppo, non sarà possibile spendere meno e quindi comprimere il prelievo tributario. In questo senso sarebbe cruciale localizzare il potere, permettendo alle comunità locali di autogovernarsi, e creando una competizione virtuosa tra città e regioni. Soltanto avvicinando imposte e spese, con la responsabilizzazione che ne deriverebbe, si potrebbe sperare di avere un’economia più libera, più dinamica e quindi più produttiva.
Purtroppo, la maggior parte dei discorsi sulla bassa produttività sono viziati da logiche dirigiste: e così c’è chi vede tutti i mali nel nanismo delle imprese, oppure nei pochi investimenti in ricerca e sviluppo, oppure in qualcosa d’altro. Tutto questo però dice ben poco, perché soltanto creando più spazi per il mercato e la libera iniziativa si può immaginare un’inversione di rotta.
da Il Giornale, 11 giugno 2022