15 Settembre 2022
Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Diritto e Regolamentazione
Negli scorsi giorni in Cile una larga maggioranza degli elettori ha bocciato un nuovo progetto di Costituzione, la quale si proponeva di moltiplicare il numero dei diritti. Si trattava, sotto certi aspetti, di una Costituzione monstre, dal momento che includeva (dopo la bocciatura, è ormai necessario riferirsi al passato) ben 388 articoli, più 57 disposizioni transitorie. Un lungo testo che pretendeva di esaminare e ingabbiare ogni aspetto della vita individuale e dei rapporti sociali.
La scelta compiuta dai votanti del Paese sudamericano ha sorpreso molti osservatori, anche in ragione del fatto che pareva giunto il momento, dopo più di quarant’anni, di lasciarsi alle spalle una Costituzione ancora segnata dall’eredità della dittatura di Pinochet. Eppure quasi due elettori su tre hanno rigettato il nuovo testo, che era frutto di un lavoro durato circa un anno da parte di un’assemblea di 155 rappresentanti.
Le ragioni che hanno portato a questo esito sono varie, ma è interessante rilevare sopra ogni altra cosa come ormai stia logorandosi sempre più una certa visione istituzionale: quella concezione che a lungo ha dominato la cultura politica e in ragione della quale la carta fondamentale dovrebbe enunciare e proteggere qualsiasi tipo di pretesa. Perché è chiaro che la Costituzione cilena abortita ha rappresentato e continuerà a rappresentare in letteratura la forma più estrema di giuridicizzazione del potere e di moltiplicazione dei «diritti».
Dietro alla formula giornalistica della Costituzione più progressista del mondo, infatti, è questo che si deve leggere. In estrema sintesi, il costituzionalismo era nato per limitare il potere. La società che ha generato tutto ciò, quella inglese, non dispone neppure di una Costituzione scritta, dal momento che a contenere il dominio delle autorità politiche è una serie di atti e tradizioni: dalla Magna Charta in poi. Anche quando si è pensato di ricorrere a Costituzioni scritte, per lungo tempo l’obiettivo è stato in primo luogo quello di mettere nero su bianco ciò che il potere non può fare e, di conseguenza, quali sono le libertà che non può ledere.
L’avvento, però, di una visione sempre più statocentrica della vita sociale ha finito per modificare un po’ tutto. Non a caso, l’incipit dell’articolo 1 della Costituzione recitava che «il Cile è uno Stato sociale e democratico di diritto». L’idea al cuore di questo testo ultra-progressista è che il Cile doveva essere uno Stato sociale (basato su alta tassazione e redistribuzione) e che tutto questo si giustificava a partire dalla legittimazione elettorale e dalla costituzione stessa.
Non a caso, come molti analisti hanno rilevato, il testo costituzionale includeva più di 100 diritti, il che significa – è facile capirlo – che non si trattava più (come al tempo della fase più liberale del costituzionalismo) di proteggere la società dallo Stato, ma invece di legittimare gli uomini di Stato a intervenire ovunque: nell’economia, nell’educazione, nella sanità, nei rapporti di lavoro, nelle questioni ambientali, culturali, familiari ecc.
Votando contro quel testo, molti cileni hanno in qualche modo avvertito come quelli che vengono chiamati «diritti» in realtà siano spesso la premessa per lo svuotamento delle libertà individuali fondamentali: dalla proprietà all’autonomia negoziale, dalla libertà di espressione alla facoltà di vivere sulla base dei propri principi e valori (rifiutando ogni catechismo secolare di Stato).
È come se l’età contemporanea avesse nutrito l’illusione di negare la natura autentica del potere: il fatto che alcuni uomini dispongono di altri (delle loro libertà, del loro tempo, delle loro risorse). E questa negazione del dominio è stata possibile perché quanti comandano hanno adornato il potere con ogni sorta di orpello: facendolo sociale, democratico, ecologico, antidiscriminatorio, popolare e altro ancora. Stavolta i cileni, a voce alta, ci hanno detto che il Re è nudo.
dal Corriere del Ticino, 15 settembre 2022