«Il capitalismo italiano è un capitalismo popolare, che ha dato il meglio di sé nella ricostruzione post-bellica, quando lo Stato individuava gli obiettivi, pianificava e dettava poche regole, lasciando alle imprese la realizzazione dei progetti. Oggi, un’ipertrofia regolatoria mortifica questa caratteristica della nostra imprenditoria: è necessario che Io Stato diventi più leggero per dare spazio alla vitalità della nostra società».
A sostenerlo è il giuslavorista Maurizio Sacconi nel suo libro “Stato essenziale Società vitale. Appunti sussidiari per l’Italia che verrà“, scritto a quattro mani con il politologo liberale Alberto Mingardi, e presentato ieri all’Unione Industriali di Napoli insieme al leader degli imprenditori partenopei, Costanzo Jannotti Pecci, e al presidente della Fondazione Mezzogiorno, Antonio D’Amato.
Nel corso del dibattito, moderato dal direttore de Il Mattino, Francesco de Core, l’ex ministro del Lavoro ha ricordato come i governi abbiano allargato il perimetro dello Stato per rispondere all’emergenza pandemica, una tendenza che poi si è estesa per far fronte a guerra, crisi energetica, inflazione e recessione. Politiche espansive che andrebbero, però, archiviate – ha sostenuto – perché non tengono conto dei costi e paralizzano il Paese.
Secondo gli autori del libro, uno Stato debole, invece di assumersi le proprie responsabilità, preferisce proseguire con quello che viene definito «metodo lockdown» attraverso una proliferazione di presunti diritti che altro non sarebbero che «regimi di favore, sussidi, aiuti a gruppi particolari». Una strategia destinata ad esaurirsi perché presto i vincoli di bilancio torneranno ad avere un peso.
D’accordo D’Amato che ha individuato «nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica il momento che segna una frattura tra la capacità di crescita del Paese e la sua potenzialità». Secondo l’ex numero uno di Confindustria, «la giusta spallata di tangentopoli alla partitocrazia decapitò anche una intera classe dirigente, con il risultato che i nuovi partiti non avevano la visione di quelli vecchi, ma ne conservavano le cattive abitudini». Un dramma soprattutto per il Mezzogiorno che, a causa delle politiche imposte dalla Lega, «a cominciare dall’abolizione della fiscalizzazione degli oneri sociali, ha visto svanire gli investimenti anche internazionali e ha registrato il fallimento di migliaia di imprese non per debiti ma per il venir meno del credito bancario».
Anche Jannotti Pecci ha concordato sulla necessità di uno “Stato essenziale” «purché capace di programmare. Invece – ha spiegato – abbiamo l’impressione che, sul Pnrr, si affronti il problema solo sul piano finanziario, come se fosse un grande bancomat. Questo atteggiamento burocratico è sbagliato: il Mezzogiorno ha bisogno di una strategia a livello centrale, di una visione che persegua l’obiettivo della riduzione del gap con il Nord».
Meno in sintonia i tre partecipanti al dibattito quando Francesco de Core li ha stimolati sul tema dell’autonomia differenziata. Per Sacconi è un’opportunità perché è nel solco di quella sussidiarietà, anche verticale, che richiama nel libro, ritenendola necessaria per liberare la vitalità della società. Per D’Amato, invece, «mentre si chiede uno Stato più leggero, si vuole introdurre un nuovo centralismo, quello regionale, che rischia di diventare una sovrastruttura paralizzante». Ancora più netto Jannotti Pecci: «Il debito pubblico italiano è esploso con l’introduzione delle Regioni, fosse per me le abolirei. E non è vero che alcune funzionano bene, funzionano solo meno peggio delle altre».
Tutti d’accordo, infine, sull’Europa, considerata l’emblema della burocrazia e dell’ipertrofia regolatoria da combattere. «L’eccesso di limiti non inibisce i cattivi ma i buoni, che si spaventano e non fanno quello che potrebbero» ha concluso Sacconi.
da Il Mattino, 15 marzo 2023