22 Gennaio 2016
Il Foglio
Franco Debenedetti
Presidente, Fondazione IBL
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Se a un’azienda che aveva in appalto un servizio pubblico (nei settori dell’acqua, energia, trasporti, servizi postali) oppure un servizio di call center ne subentra un’altra, questa dovrà: assumere tutti i lavoratori della precedente gestione; mantenere nel tempo i livelli occupazionali (qualunque cosa ciò voglia dire); applicare i contratti della precedente gestione, se più favorevoli ai dipendenti. E’ quello che vorrebbero imporre degli emendamenti introdotti nella legge delega per il recepimento di alcune direttive comunitarie appunto sugli appalti pubblici. La legge ora è ritornata al Senato per la terza lettura, e ne discute la commissione Lavori pubblici in questi giorni. Vien da chiedersi: se queste son le regole, perché cambiare appaltatore? Se chi subentra non può fare lo stesso lavoro con persone diverse, oppure usare una parte delle stesse persone modificando l’organizzazione del lavoro, che cosa può fare di meglio del precedente? Gli emendamenti introducono sostanzialmente un monopolio legale del servizio a vantaggio dei dipendenti: difficile in questo modo promuovere la concorrenza, soprattutto in settori labour intensive come sono di solito quelli in questione, per non parlare dei cali center. Il monopolio, la certezza dell’inamovibilità, la sicurezza di poter contare su un tempo lungo è sempre contro l’efficienza.
Che questi emendamenti siano contro i principi europei della libera circolazione dei capitali e delle persone; che quindi adottandoli stiamo predisponendo motivi per una sanzione della Commissione è evidente. Al di là degli aspetti tecnici, interessano quelli culturali e politici. Culturali, perché dovrebbe essere entrato nella cultura giuridica e sociale del paese che difendere a tutti i costi la continuità del rapporto di lavoro è un modo sbagliato di proteggere la sicurezza dei lavoratori, che invece finisce col recare danno agli utenti e agli stessi lavoratori. Lo stanno capendo persino i giudici del Lavoro, se è vero che dopo il Jobs Act molti di essi stanno inopinatamente incominciando ad applicare la legge Fornero in modo fedele all’ intendimento del legislatore del 2012, fino a ieri quasi del tutto ignorato. Ma interessa soprattutto aspetti politici. La riforma del mercato del lavoro è la più importante riforma compiuta dal governo Renzi. Che parlamentari del Pd, surrettiziamente, approfittando di una legge di conversione di direttive comunitarie, vogliano piantare nel nostro ordinamento norme che svuotino dall’interno quello che, comunque lo vogliano giudicare, è diventato quasi il simbolo del governo che sostengono, non è una scivolata, un incidente di percorso: è un fatto politico grave, che il Senato adesso dovrebbe bocciare.
Il Foglio, 4 dicembre 2015