Su banche e immigrati il Papa fa il comunista

Per Francesco stiamo assistendo ad una “bancarotta dell'umanità”, ma è una retorica sbagliata

7 Novembre 2016

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

E’ ragionevole contrapporre le banche e i migranti, come ieri ha fatto papa Francesco, accusando la nostra società di destinare somme rilevanti al salvataggio degli istituti di credito invece che all’accoglienza di quanti vengono senza un soldo dall’Africa e dall’Asia? Con tutto il rispetto che si deve al Pontefice, si tratta di un’opposizione che non ha senso: per una serie di ragioni.

Innanzi tutto, se la nostra economia è ancora in grado di disporre di risorse è anche grazie al sistema finanziario: un settore che certo è criticabile da tanti punti di vista (basti pensare che è più facile rapinare una banca che fondarne una…), ma che svolge comunque una funzione importante. Se i Paesi europei sono oggi in grado di offrire un tetto a quanti arrivano da lontano, questo si deve anche a una lunga storia fatta anche di risparmi, investimenti e prestiti. La finanza quale specifica attività umana, incaricata di gestire le risorse nel migliore dei modi ha una sua dignità e va rispettata.

Oltre a ciò, tanto radicalismo lascia perplessi se si considera che la Chiesa cattolica, e giustamente, ha svolto un ruolo importante proprio in questa vicenda. Non soltanto sono stati teologi e predicatori cattolici del tardo Medioevo e del primo Rinascimento a legittimare il prestito a interesse e il ruolo fondamentale dei banchieri, ma anche in tempi più recenti abbiamo avuto in Italia e non solo una serie importante di istituti cattolici.

Esiste perfino oggi una finanza specificamente vaticana e solo per evitare di infierire qui non ricorderemo al papa talune vicende che hanno visto protagonista lo Ior: in mano ad individui fallibili, come lo è ogni essere umano. Perché il punto è tutto qui: che la finanza non può essere condannata in quanto tale. E se certo non è bello vedere i soldi dei contribuenti spesi per salvare le banche (che quando vanno male devono fallire, come qualsiasi altri impresa), ugualmente non si può condividere l’idea che il semplice arrivo di masse di migranti dal Sud debba comportare un salasso crescente a danno dei cittadini europei.

Quello che purtroppo traspare dalle parole del papa è che nella sua visione del mondo non sembra esserci alcun riconoscimento della proprietà: del diritto di ogni uomo a disporre delle proprie risorse (il che non esclude, ovviamente, il dovere morale di farne l’uso migliore, improntato a generosità e apertura di cuore). Senza proprietà, non c’è però alcun vero rispetto dell’altro: di quella persona umana che è sempre incarnata in un mondo, in relazioni, in beni, in storie, in patrimoni.

Oltre a ciò, la “semplificista” demonizzazione della modernità finanziaria che quel cenno alle banche segnala con chiarezza sembra parlarci di una Chiesa che finisce per confondere il suo messaggio con tutta una retorica socialista e populista che ben poco ha a che fare con l’annuncio evangelico. Per i cristiani, è certo questo l’elemento più problematico della «novità Bergoglio». E non si tratta di una difficoltà da poco.

Da Il Giornale, 6 novembre 2016

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