Il tempismo è tutto, con questa chiosa su Twitter il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha lanciato quattro “scelte rapide e coraggiose” sulla politica energetica: stop ad aumenti per famiglie e imprese; aumentare la produzione nazionale di gas; aumentare la produzione di energie rinnovabili; aiutare le famiglie a ridurre i consumi tramite l’efficientamento energetico. Sarebbe facile ironizzare sul fatto che il monito di evitare “interventi tardivi” arriva… tardi: il governo ha già annunciato il quinto decreto contro il caro-bollette in sette mesi, mentre il quarto è ancora in sede di conversione. Sarebbe facile anche sottolineare che il primo punto – basta rincari – non è una proposta concreta ma, al massimo, un obiettivo astratto (o un pio desiderio). Ma c’è un altro aspetto che colpisce: qual è la posizione del Partito democratico sul gas?
Oggi il Pd chiede di rilanciarne la produzione nazionale. E’ razionale e utile al paese. Eppure, meno di dieci giorni fa – quando la situazione non era molto diversa – al Nazareno sembravano pensarla diversamente. Il 2 febbraio il segretario rilanciava un tweet della responsabile energia e ambiente, Chiara Braga, contro l’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia europea degli investimenti sostenibili (“La decisione della Commissione europea sulla tassonomia non ci convince: esperti e voci della finanza hanno evidenziato le tante criticità di questa scelta”). Letta era stato ancora più duro il 5 gennaio: “Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione Ue sta facendo circolare. L’inclusione del nucleare è per noi radicalmente sbagliata. E il gas non è il futuro, è solo da considerare in logica di pura transizione verso le vere energie rinnovabili”.
Queste parole così esplicite avevano anche creato un mezzo incidente col governo, il quale è sì critico con la tassonomia, ma per ragioni diametralmente opposte: giudica i limiti sul gas “troppo bassi”. Né si può accusare l’esecutivo di aver forzato la mano all’insaputa della sua maggioranza. Il 15dicembre2021 l’ex deputata di leu Rossella Muroni aveva presentato una mozione per impegnare il governo a “lavorare per escludere il nucleare e il gas dalla tassonomia europea”,cioè la stessa richiesta avanzata da Letta a gennaio. A favore hanno votato solo i nove parlamentari di “Facciamo Eco”: il Pd era compattamente e convintamente contro.
Naturalmente, la tassonomia e il rilancio della produzione nazionale sono questioni distinte. Il secondo atto delegato della tassonomia riguarda gli impianti per la generazione elettrica da gas, mentre adesso si discute dello sfruttamento delle risorse nazionali. Ma l’orizzonte temporale non è poi così diverso: il gas servirà a bilanciare i sistemi elettrici (e a soddisfare i consumi civili e industriali) almeno nei prossimi vent’anni. Ed è a tal fine che dovranno essere realizzati impianti e reperiti i volumi di metano necessari per alimentarli. D’altronde, se oggi si parla di un raddoppio delle estrazioni, è perché negli ultimi anni esse hanno subito un declino pauroso (da circa 20 miliardi di metri cubi alla metà degli anni Novanta a meno di quattro nel 2021). E questo declino dipende dalle resistenze dello stesso Pd che, infatti, non si oppose alla moratoria de facto sancita al tempo dell’alleanza giallorossa con il M5s.
Si potrebbe, infine, osservare che il Pd ha gli stessi ondeggiamenti dei suoi alleati. Gli stessi partiti di centrodestra, sulla carta favorevoli alla coltivazione del sottosuolo, nella pratica non hanno fatto molto per invertire la tendenza. Ma c’è una differenza sostanziale: a differenza degli altri leader di partito, Enrico Letta conosce perfettamente il tema. Il suo nome è legato al decreto del 2000 che, recependo la direttiva europea sull’apertura del mercato del gas, disegnò la disciplina settoriale tuttora (nella sostanza) in vigore.
Letta, dunque, non ha la scusante dell’inconsapevolezza. Se ha cambiato idea tre volte in un mese e mezzo, lo ha fatto in scienza e coscienza. Se questa sia un’esimente o un’aggravante, lo giudichino lettori ed elettori.
da Il Foglio, 11 febbraio 2022