Tariffe ad alta gradazione, la controstoria americana

Il duello sugli alcolici è antico e arriva dalla Guerra d'Indipendenza, limitare questo commercio ha un basso rischio politico


7 Aprile 2025

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Economia e Mercato

A metà aprile entreranno in vigore i primi dazi Ue (non ancora la risposta alle «tariffe reciproche» della scorsa settimana). Se Trump aveva cominciato tassando le importazioni di acciaio e alluminio, Ursula von der Leyen ha risposto aumentando il prelievo su motociclette, motoscafi e Bourbon. Quest’ultimo sarà gravato di un dazio del 50 per cento. L’inquilino della Casa Bianca non l’aveva presa granché bene e aveva annunciato per ritorsione altri dazi, del 200%, su «champagne e vino europeo». I produttori europei sono decisamente preoccupati, i consumatori da un lato e dall’altro dell’Atlantico un po’ sbigottiti. In realtà, non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Già durante la prima amministrazione Trump sugli spirits si erano consumate alcune scaramucce doganali. Il canovaccio era lo stesso cui von der Leyen si è attenuta: da una parte un attacco sull’acciaio, dall’altra una risposta su alcolici e altri beni di consumo.

Non solo la Ue ma anche Messico e Cina avevano preso di mira il Bourbon. Gli Stati europei, che ne sono il principale importatore, avevano ridotto di un terzo i loro acquisti. Il colpo per l’industria americana, concentrata pressoché integralmente nel Kentucky, fu pesante. Gli elettori di quello Stato non sembrano essersela legata al dito: se nel 2016 Trump aveva il 62% dei consensi, nel 2024 è arrivato al 64%.

Nel 2019, gli Stati Uniti avevano poi imposto un dazio del 25% sulle importazioni di whisky scozzese e irlandese: gli Usa sono, per lo Scotch, il primo mercato di sbocco. Quando il dazio è stato sospeso per cinque anni (non abolito), nel 2022, le vendite negli Usa sono aumentate di oltre il 40%.

Più in generale, la storia stessa dei dazi è fortemente intrecciata ad alcolici e superalcolici. Ormai nessuno di noi si stupisce se trova la burrata nel menù di un ristorante di New York o di Londra. Ma per il grosso della loro storia le persone hanno scambiato quel che si poteva scambiare: cioè merci che potessero superare le difficoltà del viaggio ed essere conservate in condizioni che non mettevano a repentaglio la possibilità di consumarle. Già durante la civiltà minoica c’era commercio di vino fra Creta e l’Egitto. Qualche secolo dopo i mercanti fenici trasportavano per tutto il Mediterraneo anfore piene di vino e di olio.

Se è relativamente facile trasportare alcolici dall’alba dei tempi, dall’alba dei tempi vengono tassati. Questo è tanto più vero in età moderna, quando regolare il consumo di alcol diventa, perlomeno nel racconto dei politici, una questione di ordine pubblico. Il consumo diffuso, soprattutto nei ceti più umili, è associato alla paura di disordini diffusi e a un venir meno della tenuta sociale, oltre che a problemi di produttività e partecipazione al lavoro. Nelle società protestanti, l’ubriachezza e il consumo smodato di alcolici sono sempre stati sanzionati socialmente ma sono finiti, nel corso dell’Ottocento, nel centro del mirino di movimenti volti a limitare i consumi. Che sono poi sfociati nel proibizionismo degli anni Venti (negli Stati Uniti, ma anche in Canada, Nuova Zelanda, Finlandia, Norvegia). La storia americana non fa eccezione. Il primo atto di una qualche importanza del Congresso degli Stati Uniti, dopo la ratifica della Costituzione, è l’Us Tariff Act del 1789. Era urgente dotare il governo federale delle risorse per funzionare. Sin da principio, gli Stati Uniti hanno un regime di dazi che unisce imposte che vengono calcolate sul valore dei beni importati ad altri che invece colpiscono in modo discrezionale questa o quella categoria di beni. In generale, i beni importati erano tassati per il 5% del loro valore. Sin da principio, però, il vino fa eccezione e il dazio che lo colpisce vale 10 centesimi al gallone americano. Frugali erano le imposte e così le spese del governo, che non raggiunsero i venti milioni di dollari nel 1810. Il Pil americano era all’epoca di 720 milioni di dollari. Negli anni successivi, il prodotto cresceva all’incirca del 5% l’anno, le spese del governo federale dell’1% l’anno. La spesa pubblica si manterrà intorno al 2% del Pil fino alla guerra civile. Altri tempi.

Gli Usa finiscono di ripagare il debito che avevano contrattato per affrancarsi dagli inglesi nella guerra d’indipendenza nel 1830. Uno degli strumenti che avevano scelto per rimettere i loro debiti era un’accisa sui distillati, compresa fra i 6 e i 18 centesimi, approvata nel 1791. L’imposta non venne presa granché bene dagli agricoltori, che nel luglio del 1794, a partire dalla Pennsylvania, cominciarono a ribellarsi contro il tributo. A settembre, la “Whiskey Rebellion” fu risolta dall’azione di circa 13 mila miliziani. Il presidente degli Stati Uniti era allora un signore che aveva fatto il generale e guidò personalmente le truppe. L’accisa venne poi abolita da un suo successore, Thomas Jefferson, nel 1801.

Durante e dopo le guerre napoleoniche, anche al di là dell’Atlantico ripresero fiato misure protezionistiche. Nel 1828, alcuni esponenti del partito democratico provano a costruire una legge nella quale i dazi introdotti colpiscano non solo gli Stati del Sud (che producevano cotone e altre materie prime per l’esportazione, e quindi importavano manufatti) ma anche quelli del Nord, dove invece hanno sede proprio le industrie che vogliono protezione. Il calcolo politico è quello di costruire un protezionismo talmente costoso e ridondante da portare gli Stati del Nord a rivedere la propria posizione. In politica nulla è più azzardato che fare conto sul buon senso: la legge passa, perché per i protezionisti il principio vale di più dei suoi effetti. Le imposte sugli alcolici aumentano del 50% e sui distillati stranieri viene imposto un dazio di 15 centesimi al gallone. Nel 1832, il senso comune si arrenderà all’evidenza e verranno rivisti al ribasso.

Il libero scambio degli alcolici è una conquista recente. È stato il Nafta, nel 1994, ad azzerare i dazi su Bourbon, whisky canadese, vino, Tequila, eccetera tra Usa, Messico e Canada. Un accordo simile con l’Europa risale al 1997. Da allora al 2018, champagne e whisky viaggiavano fra una sponda e l’altra dell’Atlantico senza limitazioni. Bei tempi.

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