10 Luglio 2023
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Economia e Mercato
La ripresa del turismo, che ha superato il livello pre-pandemia, rende ancora più evidente un problema antico: quello dell’offerta di taxi, perlomeno nelle città di Milano e Roma. Il braccio di ferro fra auto bianche e autorità è uno spettacolo di repertorio. È dall’inizio degli anni Duemila che si cerca di ampliare la disponibilità di taxi. Gli ultimi sindaci a emettere nuove licenze sono stati però rispettivamente Gabriele Albertini e Walter Veltroni. Le proposte di (relativa) liberalizzazione del settore a livello nazionale non portano bene ai politici: dalle lenzuolate di Pierluigi Bersani al tentativo abbozzato, nelle ultime settimane di vita, dal governo Draghi.
Interessi contrapposti
È un caso di servizio regolamentato (sono i Comuni a decidere chi può fornirlo) nel quale interessi di produttori e consumatori sono in patente conflitto. I primi vogliono limitare l’offerta, i secondi vorrebbero taxi economici e disponibili in gran quantità. Ma questi ultimi non prendono il taxi per mestiere, nessuno si identifica come consumatore di questo servizio e c’è il serio dubbio che mai un singolo elettore abbia scelto questo o quel candidato perché prometteva più auto bianche.
Al contrario, i tassisti sono ben organizzati, percepiscono di avere interessi abbastanza omogenei, sono pronti a dar battaglia e per giunta, trasportando molte persone, sono visti dalla politica come un interlocutore necessario, un diapason del consenso di cui non si può fare a meno. Se a Milano o Roma trovare un taxi oggi è difficile, è per l’aumento della domanda.
C’entra la crescita del turismo ma pure i passi in avanti fatti dalla categoria, che nel giro di alcuni anni è passata dal rifiuto della tecnologia e dal difendere a spada tratta i radiotaxi all’utilizzo di app che consentono di usufruire dei suoi servizi in modo più immediato, a vantaggio delle nuove generazioni e dei turisti.
Fino a qualche mese fa i governi municipali negavano il problema, sapendo quanto costosa possa essere una guerra di posizione coi tassisti. Poi si sono tentati rimedi potenzialmente meno sgraditi alla categoria, come la possibilità della doppia guida per aumentare la disponibilità delle automobili facendole circolare più a lungo. Ma i tassi di adesione sono stati modesti (a Milano si parla del 10%). Per cui adesso si torna a parlare di nuove licenze.
La reazione, c’è da scommetterci, non si farà attendere, anche perché il governo nazionale è amico dei taxi e li considera come una constituency preziosa. Va anche detto che pensare di aumentare oggi il numero delle licenze sembra davvero anacronistico. In molti Paesi del mondo, non solo negli Usa ma anche nei Paesi nordici o in Spagna, il taxi è semplicemente in concorrenza con altri autoservizi pubblici non di linea. Da Uber e Lift alla spagnola Cabify, la tecnologia ha consentito di superare le difficoltà che avevano condotto ai taxi come li conosciamo: macchine chiaramente identificabili (prima gialle poi bianche), legate a una licenza municipale, guidate da personale specializzato.
Oggi la disponibilità a offrire un passaggio a pagamento può essere segnalata tramite un’app e anche il percorso più rapido, in assenza di esperienza sul campo e col vantaggio di una visione d’insieme delle dinamiche del traffico, ce lo indica un’altra app. Negli ultimi anni, il car sharing si è imposto all’attenzione come altro strumento di mobilità sostenibile, votato a erodere parte della domanda di trasporto taxi. È sorprendente, in quest’ambito, che si sia ridotta dopo il Covid l’offerta di automobili facilmente parcheggiabili (come le Smart da cui partì l’avventura di Car-to-go) a vantaggio di vetture più grandi, meno adatte per la città.
Affrontare il problema della penuria di taxi con nuove licenze significa perdere di vista questo scenario: un contesto nel quale chi viene in Italia, e anche chi dall’Italia viaggia per lavoro o diletto altrove, ha imparato a conoscere delle alternative. Non è azzardato immaginare che più tornerà a viaggiare e più in qualche modo le pretenderà, o ne biasimerà l’assenza, innanzi agli amministratori locali.
Alternative
Non sarà facile per i sindaci «scambiare» l’assenza di Uber con qualche licenza in più, perché i tassisti, comprensibilmente, pensano al valore della propria, di licenza, che ai loro occhi è una specie di grande Tfr. Non è detto nemmeno che risolva il problema, specialmente se la strada presa è quella verso la crescente disincentivazione del mezzo individuale. Che però significa che debbono esserci delle alternative.
È vero che il governo Meloni è probabilmente poco propenso a riaprire il file Uber-Ncc. Però forse è anche quello che si trova nella posizione migliore per farlo: gode di legittimità presso i tassisti, può provare a interpretarne in modo più creativo le istanze e ragionare su strumenti compensativi di un ammodernamento complessivo del comparto. Può finalmente dare valenza nazionale alle licenze Ncc, consentendo così una mobilità del servizio di noleggio con conducente oggi impossibile, e che potrebbe «naturalmente» andare a sanare i buchi più plateali nell’offerta.
Ci vorrebbero però buona volontà e voglia di mettere da parte l’uso politico della questione, che tanto ha fruttato in passato. Intanto, siamo destinati a continuare a non riuscire a trovare taxi quando ci servono. Una situazione che non fa bene alla reputazione di nessuno degli attori coinvolti.
da L’Economia del Corriere della Sera, 10 luglio 2023