Persino la classe politica italiana si è resa conto che, buono o cattivo, il debito va ripagato
C’è quello che una volta si chiamava teatrino della politica, e poi c’è l’amaro palcoscenico della realtà. Ne abbiamo avuto una plastica dimostrazione la settimana scorsa.
Il teatrino è andato in scena a Bruxelles: gli eurodeputati italiani, da destra a sinistra, unici tra tutte le delegazioni dei 27 Stati membri, hanno negato il via libera al nuovo patto di stabilità. Il centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) si è astenuto, così come il Partito democratico; il Movimento 5 stelle e i Verdi hanno votato contro. Solo quattro rappresentanti italiani hanno votato a favore: Herbert Dorfmann e Lara Comi di Forza Italia/Ppe e Marco Zullo e Sandro Gozi di Renew (quest’ultimo, tuttavia, era stato eletto in Francia). In un mondo normale si tratterebbe di un evento di portata politica enorme: a livello europeo, è come se l’Italia avesse celebrato una sua piccola Brexit. L’Europarlamento ha dato il via libera a larga maggioranza alle nuove regole (oltre il 60 per cento dei voti favorevoli), preventivamente concordate e successivamente convalidate dai governi, incluso quello italiano. Solo un Paese ha espresso così marcatamente il proprio dissenso e ne ha fatto una questione non di parte politica ma “nazionale”: noi. Rispetto a quanto avviene in casa nostra, gli europarlamentari italiani hanno di fatto bocciato il negoziato condotto dal governo, che a suo tempo si era detto soddisfatto del compromesso raggiunto e che infatti ha suggellato con un voto favorevole in Consiglio. Da parte del centrodestra, insomma, una sorta di sfiducia a sé stesso. Siccome siamo a un passo dalle elezioni, verrebbe da chiedersi come faranno i partiti a ricandidare esponenti politici che hanno espresso un dissenso tanto netto nei loro confronti.
Tutto ciò sarebbe grave se fosse anche serio: ma così non è. Infatti, mentre gli eurodeputati recitavano la parte degli offesi e scandalizzati, il governo licenziava l’ennesimo decreto per intervenire urgentemente sul superbonus, per evitare ulteriori slavine sui conti pubblici. E mentre il ministro Giancarlo Giorgetti sottolineava una volta ancora l’enorme danno causato dalla spesa irresponsabile dei bonus edilizi, l’opposizione del Pd lo attaccava per essere intervenuto troppo tardi e non aver messo fine tempestivamente alla vicenda del superbonus. Incoerenza a parte (fino a poco tempo fa il Pd chiedeva estensioni del superbonus), senza bisogno che il nuovo patto di stabilità entrasse in vigore, è evidente che persino la classe politica italiana si è resa conto che, buono o cattivo, il debito va ripagato, e che il debito di ieri è un vincolo alla politica di bilancio di oggi.
Quindi, in sintesi, la sceneggiata all’Europarlamento ha ricordato da vicino l’esultanza dei politici italiani quando, a pandemia in corso, celebravano il fatto che l’Italia passasse da contributore netto a beneficiario netto del bilancio europeo (perché era diventata più povera relativamente agli altri). Mentre in Italia quelle stesse donne e uomini politici dovevano fare i conti con la realtà di un bilancio pubblico fuori controllo. Il voto a Bruxelles dimostra che la lezione non l’abbiamo imparata; il comportamento a Roma mostra però che, quanto meno, l’abbiamo subita.