30 Settembre 2024
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Economia e Mercato
Se prendiamo la lista delle più grandi imprese europee, non ce n’è una che sia stata fondata (se si escludono quelle nate attraverso una fusione) negli ultimi quarant’anni. Il rapporto Draghi ha sottolineato come la differenza cruciale, fra Stati Uniti ed Europa, si debba all’information technology. Lì stanno i nuovi giganti della borsa americana. Il rapporto fra Ue e nuove tecnologie è particolare. Ci manca e vorremmo una Amazon, una Microsoft, una Tesla europea. Tuttavia, per le grandi imprese hi tech Bruxelles fino a ora è stata soprattutto un interlocutore difficile.
La Commissione tradizionalmente ha considerato i colossi della tecnologia attori da sottoporre a un severo scrutinio antitrust. Microsoft prima, Intel, Google e Apple poi, sono stati al centro di decisioni spettacolari, puntualmente coronate dalle più grandi multe mai comminate dal Commissario alla concorrenza, talora poi bocciate in sede d’appello alla Corte di giustizia europea. L’ultima multa annullata è quella a Google per abuso di posizione dominante nel caso AdSense.
Più di recente, l’Europa si è dotata di un dispositivo, il Digital Market Act, per contrastare la frammentazione della regolamentazione dei settori hi tech nei Paesi membri. In realtà il lima colpisce selettivamente alcuni imprese, i cosiddetti gatekeeper digitali, dettando loro una serie di prescrizioni, una lista di cose che possono e non possono fare, pensata ovviamente sulla base di concorrenza, tecnologia e servizi di oggi. Che si sommano ad altre normative.
A un anno dall’entrata in vigore, la Commissione ha avviato, sulla base del Dma, due procedimenti contro Apple. Il primo vuole accertarsi che Apple non privilegi dispositivi come le sue cuffie o il suo smartwatch e garantisca invece l’interoperabilità con prodotti di altre aziende. Il secondo va a indagare su come Apple affrontale richieste di interoperabilità presentate dagli sviluppatori affinché i dispositivi di terze parti funzionino nel suo sistema operativo.
L’America innova, la Cina copia, l’Europa regolamenta. Con il Dma l’Unione ha scelto di adottare norme che, visto come sono strutturati gli attori di mercato che colpiscono, hanno ripercussioni ben oltre i suoi confini Ci piacciono tanto le nostre regole che le vorremmo persino esportatore.
Ma se siamo convinti che ciò che ci manca sono imprese del tipo che gli Usa, ma anche la Cina con Huawei e Byd, sono riusciti a generare, la domanda è perché scriviamo regole che essi non sentono il bisogno di scrivere. Parrebbe più logico provare a imitarli.
La giustificazione più comune è che lo strapotere di poche, grandi aziende, per giunta non europee, richiede l’intervento attivo del regolatore. Queste imprese sarebbero talmente potenti da stroncare sul nascere i nuovi concorrenti. Questo è vero fino a un certo punto: ciò che mantiene vivi gli Stati Uniti sono start up che magari vengono poi acquistate da aziende più grandi, ma che nascono autonomamente, facendo leva su altri talenti e guardando ad altri bisogni. Se esse riescono ad attrarre capitale di rischio, è perché in tutta evidenza non è così folle tentare una nuova impresa It, nonostante a pochi chilometri di distanza ci siano Google o Meta.
Forse dovremmo chiarirci perché desideriamo che anche l’Europa riesca a gemmare più imprese hi tech. E una questione di dimensione, di capitalizzazione di borsa, di successo economico?
Insomma, ciò che ci manca è un Jeff Bezos o un Mark Zuckerberg europeo? Non sembra la questione possa essere questa, in un continente che fra l’altro non ha in grande simpatia lo 0,1% più ricco e lo considera nel migliore dei casi una pecora da tosare. E una questione di posti di lavoro? Senz’altro, quelle aziende creano posti di lavoro di qualità, impiegano persone che hanno molto investito sul proprio capitale umano. E’ coerente col livello di sviluppo dell’Europa cercare di offrire opportunità a quelle persone.
Il valore che genera un’impresa, però, resta in realtà solo per una frazione nelle mani di chi l’ha creata e anche in quelle di chi ci lavora. Se il prodotto è valido, il grosso del valore finisce al consumatore.
Amazon avrà fatto ricco Jeff Bezos ma la ricchezza, immensa, di Bezos, impallidisce rispetto alla misura in cui Amazon ha reso più facile la vita a milioni di persone, al tempo che ha consentito loro di risparmiare, a quanto ha ampliato il ventaglio delle scelte di consumo a loro disposizione.
Questo è particolarmente vero per le tecnologie: per tecniche e servizi, cioè, che serviranno ad altri per fare altre cose, per realizzare beni e servizi diversi. L’information technology non è solo una collezione di bei giocattoli ma è soprattutto un insieme di possibilità che riducono tutta una serie di costi.
L’importanza delle imprese It sta qui: nel modo in cui la loro esistenza consiste a noi tutti di avere una vita più comoda e ad altre imprese di essere più produttive.
Forse allora più di concentrarci sul sogno di alcuni «campioni» europei in quest’ambito dovremmo chiederci che effetto quelle tecnologie hanno avuto e possono avere sulla produttività in Europa.
E, in attesa di averne di nostre, evitare di rendere più complicata la vita di chi produce innovazione anche a nostro vantaggio, pur battendo bandiera americana