Toninelli preso sul serio

Dietro alle parole del ministro c'è un pensiero, tutt'altro che estemporaneo e non liquidabile come un aspetto folcloristico della compagine di governo

C’è poco da ridere sulla “modesta proposta” del ministro Toninelli di nazionalizzare l’Autobrennero. L’ambizione del ministro di rinnovare la gestione del tratto autostradale secondo uno schema totalmente pubblico non dipende solo da ignoranza o incompetenza (la quota pubblica del concessionario attuale è già, infatti, all’85%). Più probabilmente, dietro quella gaffe c’è una visione del privato e del pubblico molto più radicale: non è tanto il capitale sociale a distinguere società pubbliche e private, quanto la forma societaria o la pur minima presenza “inquinante” di un socio di minoranza privato. Che questa sia una consapevole idea di fondo del partito a cui Toninelli appartiene e non una semplice confusione lo si comprende guardando ad altre iniziative legislative e, in generale, alla retorica, non solo pentastellata, contro tutto ciò che è, sia pure vagamente, privato.

Alla Camera, ad esempio, è in discussione un disegno di legge sull’acqua pubblica che trasformerà i soggetti gestori delle reti idriche in enti di diritto pubblico, quando già il pubblico è assolutamente dominante nell’intero settore, solo che lo è sotto forma societaria. In Lombardia, la coalizione di centro-destra, a salda guida leghista, nel mirino ha messo la sanità “privata”, che in realtà offre un servizio pubblico fino ad oggi in condizione di relativa parità con gli erogatori statali, pensando di costruire consenso contro un sistema sanitario che il resto del Paese invidia ai lombardi: ma che è “contaminato” da una logica concorrenziale.

Se questa è l’aria che tira, l’Autobrennero diventa privata al pari di come possono esserlo le società municipalizzate, le Ferrovie, e persino la Rai.

Se il confine tra impresa pubblica e impresa privata dovesse spostarsi oltre la natura e la provenienza dei capitali e, conseguentemente, il controllo degli organi societari, per posizionarsi più radicalmente sulle modalità di gestione, al controllo pubblico si aggiungerebbe una conseguenza fondamentale: gli enti tornerebbero all’interno del perimetro pubblico, sia quanto a bilancio, sia quanto a procedure amministrative: una soluzione coerente con un’economia di stampo socialista.

Per questo, le parole di Toninelli vanno prese sul serio: dietro c’è un pensiero, tutt’altro che estemporaneo e non liquidabile come un aspetto folcloristico della compagine di governo, che si può estendere a molti altri servizi e ambiti dove gli azionisti pubblici sono già dominanti ma nei quali comunque essi sono assoggettati, almeno in parte, alla disciplina di mercato, a partire dal bilancio. L’Italia forse non ha mai conosciuto privatizzatori convinti, che avessero a cuore un’idea diversa di società e per questo provassero a liberare pezzi dell’economia italiana dalla morsa del pubblico. Ma questo statalismo integrale fa impallidire lo statalismo di ieri, pure egemonico nel nostro Paese.

6 febbraio 2019

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