In teoria questo sarebbe un momento di rilancio post-Covid del trasporto aereo, ma in pratica si susseguono le cattive notizie: persino Ryanair, la gallina dalle uova d’oro del settore, nel primo semestre dell’esercizio 2021-2022 denuncia un rosso di 48 milioni di euro (sia pure in miglioramento rispetto ai precedenti -411 milioni); in Italia Blue Panorama presenta istanza di concordato in tribunale; negli Usa nei giorni scorsi la compagnia American Arlines ha dovuto cancellare più di 1500 voli per maltempo ma anche per mancanza di personale (in conseguenza di errori di gestione); e nella ricca Germania l’aeroporto di Francoforte denuncia difficoltà finanziarie e quello di Berlino ha soldi solo fino a inizi 2022. Sono crisi molto diverse una dall’altra, ma denunciano un malessere comune?
Andrea Giuricin, economista dell’Istituto Bruno Leoni, segnala che l’estate ha lasciato un’impressione ingannevole di forte ripresa del settore aeronautico, ma i numeri dicono che la crisi è ben lontana dall’essere superata: guardando al mercato italiano, “a settembre il numero di passeggeri è stato inferiore del 45% rispetto al settembre del 2019 pre-Covid, e questo dato diventa ancora peggiore, dal punto di vista delle compagnie, se lo si scompone: -9,8% il mercato interno, -51,9% quello da e vreso Ue e Svizzera e -60% l’intercontinentale, che ad agosto aveva subito addirittura un -65%. Le rotte a lungo raggio sono le più remunerative ma continuano a soffrire di più per chiusure da Covid e quarantene”. Giuricin vede una possibile luce all’orizzonte: “L’8 novembre gli Stati Uniti riaprono ai passeggeri dall’Europa, e in questi giorni Thailandia, Singapore e Malaysia stanno facendo lo stesso. Però è da vedere quanti viaggiatori ne approfitteranno”.
Un altro analista, Gregory Alegi, scompone la crisi nelle singole componenti: “Neanche Ryanair riesce a uscire rapidamente dalla crisi, per quanto sia super-efficiente nella gestione dei costi e nella flessibilità del personale. American Airlines paga una crisi delle vocazioni nel settore aeronautico degli Usa. Lì i piloti mancavano già prima della pandemia, poi molti sono stati licenziati, adesso si cerca di riassumerli ma se hanno trovato altre occupazioni non tornano indietro. In America fare il pilota ha perso attrattiva, la formazione è costosissima e i prestiti sono concessi a condizioni che legano le persone per molti anni, e le paghe iniziali sono basse. Una volta si sopperiva assumendo piloti in Europa, anche un mio amico fece così, ma Trump ha molto ridotto questa possibilità. Fra l’altro, un recentissimo studio americano rivela che i piloti che tornano al lavoro dopo una lunga inattività sono più soggetti a fare errori. Attenzione, errori non vuol dire incidenti, ma il ritorno alla piena operatività delle persone non è scontato come forse si crede”.
Quanto agli aeroporti tedeschi, Alegi segnala che quello nuovo di Berlino in fase di costruzione ha avuto una storia travagliata e molto “italiana”: “E’ partito con 15 anni di ritardo ed era a corto di risorse finanziarie, quando poi è venuto a mancare il traffico…”. E Francoforte paga essere lo hub di Lufthansa, “che ha molto tagliato i collegamenti, facendo venire meno gli introiti di catering, manutenzione eccetera”.
Ma la crisi del traffico aereo sarà passeggera? Alegi osserva che “la stagione autunno/inverno è sempre negativa per il settore, a primavera le cose miglioreranno, ma vedo due problemi di lungo termine: si sta diffondendo una mentalità anti-aereo, a favore dei treni, per ragioni ambientali. E il telelavoro potrebbe aver ridotto i viaggi in business class in maniera strutturale: certe costose trasferte faticheranno a farsi considerare indispensabili”.
da Il Secolo XIX, 1 novembre 2021