TTIP: il trattato sfuma, i miti restano

Anche un accordo di libero scambio non significherebbe semplicemente la liberalizzazione del commercio tra Stati Uniti e Europa

5 Settembre 2016

IBL

Argomenti / Economia e Mercato Teoria e scienze sociali

L’ennesimo rallentamento per il trattato di liberalizzazione commerciale transatlantica vuol dire molte cose eccetto quella che i suoi detrattori vorrebbero: il fallimento del libero scambio.

Abbiamo un senso di deja-vù. La crisi economica, e i comprensibili timori che essa genera, hanno ridato fiato alle credenze protezionistiche. Ma c’è anche qualcosa di nuovo. Un’ideologia della decrescita che attecchisce sempre di più nella nostra società e che riempie le vele di paure del tutto irrazionali, che girano attorno a surreali “riflessioni” sulle implicazioni igienico-sanitarie del trattato.

Certo è che l’accordo sul libero scambio aprirebbe il mercato europeo alla concorrenza americana, e viceversa. Le fobie sui polli al cloro sono state usate come testa d’ariete per ostacolare, a livello di opinione pubblica, un trattato che avrebbe contribuito ad una maggiore dinamicità del commercio tra USA e Europa, e che per questo motivo ha spaventato quanti credono che l’economia prosperi sulle rendite dei mercati chiusi.

Tuttavia, la battuta di arresto dei negoziati non è, a dispetto delle apparenze, il segno del fallimento dell’apertura ad una maggiore concorrenza tra i due principali mercati mondiali.

Anzitutto, su un punto bisogna esser chiari: un accordo di libero scambio non significherebbe semplicemente la liberalizzazione del commercio tra Stati Uniti e Europa. Per definire un regime di libero scambio basta una riga: sono aboliti i dazi in essere. Ma nel nostro mondo iper-regolamentato, anche il testo eventuale di un accordo rappresenterà una forma di regolamentazione del commercio. Da una parte, l’assai complessa infrastruttura legale della globalizzazione rende più difficile ai neo-protezionisti passare dalle parole ai fatti, sia nei diversi Stati europei che negli Usa. Dall’altra, alimenta incomprensioni antiche su che cos’è lo scambio e sui suoi benefici.
Proprio per questa ragione, è possibile che lo stop dato per certo dal vicecancelliere tedesco Gabriel riveli solo un certo opportunismo rispetto ad alcuni importanti appuntamenti elettorali, e non una scelta di cambio.

Riprendere i negoziati da dove si sono interrotti sarà difficile, coi venti contrari che spirano negli Stati europei e anche negli USA. Ma non impossibile. Riduzioni all’apparenza modeste di barriere daziarie e no al commercio internazionale possono produrre importanti benefici per i consumatori e aiutarci a costruire un’economia mondiale sempre più integrata.

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