Tutti giannizzeri della solidarietà?

In sostanza ciò che distingue lo schiavo è che lavora sotto coercizione per soddisfare i desideri di un altro

27 Luglio 2014

IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

“In sostanza ciò che distingue lo schiavo è che lavora sotto coercizione per soddisfare i desideri di un altro”. Ma, come ammoniva Herbert Spencer in un “parabola” rimasta celebre nella storia del pensiero politico, cambia poco, per lo schiavo, se anziché di un altro deve soddisfare i desideri di altri: della comunità, della patria, dello Stato. Schiavo era e schiavo resta, perché in un caso e nell’altro non è padrone delle proprie decisioni.
Siamo fra quelli che ritengono che quando questo Paese ha abolito il servizio militare obbligatorio (il ministro che governò il passaggio a un servizio militare di professionisti era uno dei pochi liberal-liberisti mai arrivati al governo, Antonio Martino) ha fatto un grande passo in avanti, sotto il profilo della civiltà. Ha riconosciuto ai giovani italiani un diritto all’apparenza banale: il diritto di scegliere che fare del proprio tempo.
Nel disegno di legge delega sul “terzo settore”, si parla di istituire di nuovo un servizio civile. È per ora una scatola vuota: il governo deve ancora “prevedere un limite di durata” che “contemperi le finalità del servizio con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani coinvolti”.
Nessuno, finora, ha neppure squittito una qualche perplessità.
E come, del resto, si potrebbe essere men che d’accordo con l’idea di un “servizio civile universale” che sia “finalizzato alla difesa non armata”? Soprattutto tenendo conto che, a quanto pare, “difesa non armata” significa “attività di solidarietà, inclusione sociale, cittadinanza attiva, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale della nazione, sviluppo della cultura dell’innovazione e della legalità”. Il tutto in vista di un ancor più nobile obiettivo: “realizzare una effettiva cittadinanza europea e favorire la pace tra i popoli”.
C’è solo un piccolo problema. Che non esiste la schiavitù a fin di bene.
La leva militare pretendeva di esserlo: lo Stato requisiva un anno di vita a un giovane, per garantire a tutti – ai loro nonni e ai loro nipoti, alle loro fidanzate e ai loro vicini di casa – il bene supremo della sicurezza nazionale. Ma per Giacomo, Andrea e Giovanni era comunque un anno non loro: un anno in cui altri decidevano che fare della loro vita.
Ora non si parla più di difendere i patri confini, ma di costruire una “cittadinanza europea” più coesa. La leva non serve a proteggere il prossimo, ma ad impegnarsi attivamente per il suo bene. Anziché fornire manodopera all’esercito, la fornirà al volontariato (che a quel punto dovrà cambiar nome). Anziché forgiare buoni soldati, formerà bravi cittadini.
Dal punto di vista degli individui coinvolti, cambia poco: siano sei mesi o sia un anno, sarà tempo impegnato come decide la comunità, e non loro.
Il fine può giustificare i mezzi? Anche noi – che siamo peraltro una organizzazione non profit – avremmo qualche idea su come mettere a buon frutto l’operosità di qualche giovane di buona volontà, pur non potendolo pagare. Tanto basta a darci il diritto di sequestrare i vostri figli?
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