19 Giugno 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Lo sciopero di ieri ha causato tanti disagi, specie nelle grandi città. Nella capitale, in particolare, il blocco dei servizi collettivi ha mandato in tilt il traffico automobilistico, mentre a Venezia piazzale Roma è stato nel caos per ore. Problemi meno gravi si sono avuti a Napoli e a Milano, ma nel capoluogo lombardo è stata comunque bloccata la linea 5.
Tutto il Paese ha in qualche modo avvertito gli effetti di questa astensione di 24 ore, al punto che il commissario straordinario di Alitalia, Luigi Gubitosi, ha parlato di un regalo alla concorrenza. Soddisfazione traspare invece dalle dichiarazioni dei leader delle sigle sindacali, che hanno sottolineato con piacere come la loro iniziativa abbia fatto registrare un’alta partecipazione.
Questi scioperi dei trasporti mostrano varie anomalie. L’ex premier Matteo Renzi ha commentato quanto sia curioso che al fine di ottenere una più alta adesione le organizzazioni sindacali optino di frequente per il venerdì. In tal modo il lavoratore che sciopera perde una parte dello stipendio, ma può godersi un lungo fine settimana in famiglia. C’è però molto di più e di peggio.
In particolare, va evidenziato quanto sia assurda una contesa che vede opporre le imprese e i lavoratori, ma nel corso della quale i secondi infliggono disagi soprattutto ai cittadini: allo studente che ha bisogno dell’autobus per andare a scuola, al libero professionista che usa il treno per lavoro, al pensionato che si sposta per la villeggiatura e via dicendo. È proprio sulla base di questo che, qualche anno fa, si decise di limitare il diritto di sciopero di alcune categorie, a partire dai trasporti, così da tutelare diritti e interessi della gente. Ieri si è visto, però, come questo meccanismo funzioni assai poco, dato che i servizi ferroviari essenziali sono stati garantiti solo dalle 6 alle 9 (in mattinata) e dalla 18 alle 21 (nelle ore serali).
In linea di massima uno sciopero dovrebbe essere un’astensione del lavoro con la quale i dipendenti puntano a infliggere una riduzione dei profitti al datore di lavoro, in modo tale da spingerlo ad accettare le loro richieste. Nel caso dei trasporti, però, è evidente come lo schema sia diverso.
Se gli evidenti «nemici» degli scioperanti sono i cittadini impossibilitati a spostarsi, la ragione prima sta nel fatto che questo è un settore largamente politicizzato, dove la politica pesa tantissimo. Si colpisce il cittadino al fine di mobilitare il politico. Per giunta, non solo molte imprese del settore sono statali, ma anche tante aziende private vivono grazie a finanziamenti pubblici. Lo sciopero nei trasporti è più simile a uno sciopero dei dipendenti statali che uno degli operai metalmeccanici.
Il settore è riccamente sovvenzionato in ragione del fatto – questo è l’argomento – che senza il denaro del contribuente non sarebbe facile spostarsi da un paesino all’altro della Bassa cremonese o della Lucania. Ed è pure significativo che il primo interlocutore dei sindacati non siano le imprese, ma i politici.
Una riprova dello stato disastroso in cui versano i trasporti italiani è venuta solo due giorni fa, quando il Senato ha approvato quel decreto che, tra mille altre cose, ha sbarrato la strada a Flixbus, la compagnia tedesca che – grazie a una piattaforma internet – ha coordinato tutta una serie di imprese private locali e oggi è in grado di offrire trasporti via gomma a prezzi davvero bassi.
Flixbus è un privato che vive di mercato: esattamente come lo sono le imprese italiane che hanno accettato di fare parte di questa avventura. Ma il nostro mondo dei trasporti è un universo di soldi pubblici, un mondo di amici e parenti, padrini e conterranei, e per questo detesta la concorrenza. Meglio succhiare i soldi alla mammella dello Stato e, con una certa periodicità, prendere in ostaggio un Paese intero.
Questo orribile sciopero a due giorni dalla cancellazione di Flixbus ci dice quanto è immobile l’Italia nel suo insieme e quanto ci sia da fare per provare a cambiare un poco le cose.
Da Il Giornale, 17 Giugno 2017