UE, con i dazi sull’e-commerce si rischia il boomerang sociale

L’ipotesi di levare l’esenzione alla merce di poco valore proveniente dalla Cina non salverebbe i produttori europei. E soprattutto danneggerebbe i consumatori


5 Agosto 2024

L'Economia del Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Diritto e Regolamentazione Economia e Mercato

Secondo il cosiddetto teorema di Alchian-Allen (dal nome degli economisti Armen Alchian e William Allen), si dovrebbero spedire solo le mele migliori. Se i prezzi di due beni sostituti, di qualità diversa, aumentano di prezzo di un certo importo unitario, per esempio a causa del costo di trasporto, il consumo si sposterà verso quello di qualità superiore. I californiani berranno vini italiani costosi, perché quelli meno cari troverebbero un concorrente locale di pari prezzo e qualità superiore. Il contrario, ovviamente, a parti invertite. Troppo spesso non ci rendiamo conto di quanto è straordinario vivere in un mondo in cui questa logica è superata. Oggi non sono solo le magliette di Armani a essere vendute all’estero. Grazie alla tecnologia, ai miglioramenti dei trasporti, a Internet, prodotti a prezzo basso o bassissimo si vendono senza problemi a migliaia di chilometri di distanza da dove sono realizzati. 

Piattaforme come Shein e Temu si sono specializzate nell’offrire merci a basso costo, con notevole successo. Erano nomi ignoti ai più solo un paio di anni fa, adesso fanno parte della nostra vita al pari di colossi nordamericani come Amazon o ebay. Ciò si deve, almeno in parte, anche al fatto che L’UE prevede un prelievo per i dazi doganali fissato a 150 euro: al di sotto di questo tetto, non viene applicata alcuna tariffa. Questo consente a rivenditori come Shein di spedire i prodotti direttamente da oltreoceano agli acquirenti dei mercati europei senza pagare alcun dazio all’importazione. Le mele «così e così» arrivano in questo modo sulla nostra tavola. A beneficiarne sono evidentemente coloro che le domandano, che molto spesso sono quelle persone che non potrebbero permettersi mele (o, fuor di metafora, gonne, magliette, jeans, pirofile e padelle) a prezzi più alti. La tanto esecrata globalizzazione consente ai produttori dei Paesi poveri di esserlo un po’ di meno, accrescendo il potere d’acquisto dei poveri dei Paesi ricchi.

La cosa, all’unione europea, non garba più. E dopo aver dichiarato guerra ai veicoli elettrici cinesi, ora sta pensando di scendere in battaglia contro fast fashion e affini. La Commissione ha infatti annunciato una «riforma doganale per un’unione doganale semplice, più intelligente e più sicura». «Più sicura» significa che non vi saranno più esenzioni per i plichi di valore inferiore a 150 euro. L’esenzione, oltre ad avvantaggiare venditori e acquirenti, ha anche una sua ragion d’essere di carattere burocratico: non è detto, infatti, che tutto il lavoro necessario per esigere dazi su importi così modesti sia un gioco che vale la candela.

Secondo il Financial Times, l’anno scorso sono arrivati in territorio europeo 2,3 miliardi di articoli al di sotto della soglia di 150 euro in esenzione doganale. Due miliardi e trecento milioni di pacchetti, come dire fra i quattro e i cinque per ogni cittadino europeo. Controllare tutti questi pacchettini, per applicare dazi che sono necessariamente commisurati al loro valore, sarebbe una «politica commerciale intelligente»? E’ il caso di avere qualche dubbio.

Paradossalmente, l’iniziativa europea — come tante altre di cui si parla di questi tempi — vorrebbe rendere la globalizzazione un fenomeno più elitario, circoscriverne i benefici a una cerchia ristretta di persone. Il tentativo è quello di riportare in auge il teorema di Alchian-allen e far sì che solo le mele buone raggiungano i nostri Paesi. Il che per gli acquirenti di prodotti costosi va benissimo: non se ne accorgeranno nemmeno.

Persino in questo caso, non è detto che gli effetti risultino quelli desiderati. L’obiettivo parrebbe semplice e lineare: uccidere un mercato attraverso una norma. Solo che il dazio richiesto, su una catenella che vale pochi euro o su una pallina giocattolo per il gatto, per alto che sia non può essere, in valore assoluto, enorme. E’ persino possibile, in alcuni casi, che un dazio altissimo non implichi la maggiore convenienza di un prodotto concorrente e locale. In quel caso, è patentemente evidente come non si stia facendo «pagare le piattaforme», ma semplicemente i consumatori.

I tentativi di limitare, circoscrivere, trasformare la globalizzazione trovano sempre giustificazioni altisonanti. Per esempio sostenere la ricerca e le imprese innovative, evitare la fuga dei cervelli, consentire l’emergere di alternative tutte made in Europe quando si ha a che fare con tecnologie di frontiera. Sarà divertente vedere quale obiettivo strategico s’inventeranno i nostri legislatori, questa volta. Capire in che senso le t-shirt e i jeans a buon mercato mettono a rischio la nostra sicurezza.

C’è sempre, ovviamente, l’argomento dell’equità. Non è affatto escluso che alcuni di quei prodotti siano frutto di un lavoro che, per i nostri standard e forse non solo, è terribilmente sottopagato. Ma impedire di acquistare quei manufatti non sensibilizzerà i datori di lavoro, in Paesi diversi dal nostro, ad aumentare i salari. Non è detto lo faccia neppure continuare a comprare quei prodotti, ma è meno improbabile. Senz’altro, si renderebbe più costosa la vita per quei consumatori a basso reddito che su quei siti fanno spese oggi. Ovviamente questo è un discorso inesorabilmente prosaico privo della nobiltà che vantano le più illuminate scelte politiche. Stiamo parlando di ninnoli e dei loro prezzi. Che cosa hanno a che fare gonne e t-shirt a basso prezzo con la libertà e la giustizia? Verissimo. Ma che cosa hanno a che fare prezzi alti, con la libertà e la giustizia?

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