7 Febbraio 2022
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Politiche pubbliche
Trent’anni fa, a Maastricht, nasceva l’Unione europea. Si trattava di un progetto politico volto a consolidare le istituzioni unitarie del Vecchio Continente, all’indomani della fine della divisione tedesca e del crollo del Muro di Berlino. Dinanzi all’ipotesi di una risorgente potenza germanica, si pensò soprattutto da parte francese di superare quel rischio egemonico con un rafforzamento della comunità.
Se l’obiettivo era politico, fin dall’inizio fu chiaro che lo strumento sarebbe stato economico e, più precisamente, monetario. La modifica del Trattato di Roma, infatti, delineò quei criteri di convergenza che dovevano porre le basi per il varo dell’euro e che, in particolare, fissarono al 60% il limite massimo del debito pubblico e al 3% il livello del deficit. L’Italia non raggiunse mai quegli obiettivi, eppure fu tra i fondatori della valuta comune. Come fu possibile? Perché l’economia era soltanto il mezzo, mentre il fine era politico.
Oggi, però, vediamo come quegli azzardi tattici abbiamo prodotto conseguenze spiacevoli. Facciamo i conti con un’Europa in difficoltà e, al suo interno, con un’Italia che non cresce da decenni. Chi confronti l’andamento della nostra economia nel periodo 1945-75 con quello dell’ultimo trentennio deve prendere atto di come tutto andasse meglio in quel mondo antico uscito dal conflitto.
Anche perché il processo di accelerazione di unificazione europea che prese le mosse da Maastricht si reggeva su un patto ben preciso, che è stato violato. Nonostante moltissime resistenze, i tedeschi si dissero disposti a rinunciare al marco (che nel dopoguerra avevano gestito con grande cura), ma soltanto in cambio della promessa che l’euro sarebbe stato un marco ancor più solido. La scelta di fissare la sede della Bce a Francoforte intendeva confermare tutto ciò. E invece l’obiettivo della solidità della moneta è stato presto abbandonato, soprattutto fissando bassi tassi di interesse (per aiutare realtà indebitate come l’Italia) che hanno comportato una massiccia espansione monetaria. E ora c’è il rischio che quella che fu la piccola crisi greca del 2009 si possa ripetere su una scala ben più grande, coinvolgendo quel vasto Mezzogiorno europeo che ha il suo cuore proprio nell’Italia.
A questo punto, è poco realistico il punto di vista dei «falchi», e cioè di quanti vorrebbero che gli italiani si comportino come gli olandesi, o i francesi come gli svedesi. E ancor meno persuasive sono le «colombe», illuse che si possa continuare su questa strada e che i paesi più virtuosi possano sottoscrivere in eterno i debiti altrui.
Sebbene la situazione sia confusa e appaia senza uscita, bisogna iniziare a responsabilizzare ogni attore: pretendendo che i benefici siano associati agli oneri, e che ognuno sia padrone a casa propria. C’è però da chiedersi quanto tutto ciò sia compatibile con l’architettura europea di Maastricht e, ancor più, con quella valuta unica che implica scelte monetarie destinate a favorire qualcuno e a danneggiare altri.
da Il Giornale, 7 febbraio 2022