L'Italia si opponga alla direttiva sulle piattaforme
21 Dicembre 2023
Libero
Giacomo Lev Mannheimer
Argomenti / Diritto e Regolamentazione Politiche pubbliche
L’Unione europea avrà presto nuove regole sul lavoro tramite piattaforma. Pochi giorni fa Consiglio e Parlamento europeo hanno annunciato di avere trovato un accordo preliminare sul testo della nuova direttiva, al quale dovrebbe seguire a stretto giro il via libera ufficiale. Tale accordo, annunciato con enfasi, solleva tuttavia alcune perplessità di metodo e di merito.
Quanto al metodo, il compromesso raggiunto si allontana notevolmente dalle posizioni originarie del Consiglio e della Commissione europea. L’influenza esercitata dal governo socialista spagnolo, che attualmente ricopre la presidenza del Consiglio, è evidente e legittima, ma non dovrebbe spingersi fino al punto di rinnegare gli obiettivi della norma e il diffuso dissenso degli altri stati membri.
Nel merito, oggi la maggior parte dei lavoratori tramite piattaforma ha contratti di lavoro autonomo, in quanto le piattaforme non richiedono di presentarsi in orari o giorni predeterminati, ma a seconda della propria disponibilità e discrezionalità. La versione attuale dell’accordo configurerebbe di fatto una riclassificazione forzata al lavoro subordinato, generando forte incertezza giuridica per un mercato sempre più rilevante e per gli stessi lavoratori, in contrasto con le stesse preferenze di molti di loro.
Oggi i lavoratori tramite piattaforma in tutta Europa sono 28 milioni, destinati a diventare 43 milioni nei prossimi tre anni. La tecnologia ha reso possibile l’emersione di questo settore e di questi servizi, che sarebbe semplicistico pensare di ricondurre semplicemente a categorie giuslavoristiche novecentesche. Non solo: applicare una regola one size fits all a così tante ed eterogenee situazioni soggettive è non solo illusorio, ma anche offensivo verso quegli stessi lavoratori che la direttiva dice di voler proteggere.
Sono molti di quei lavoratori a beneficiare, oggi, della flessibilità e dell’autonomia di cui godono. Quanti di questi scambierebbero quelle caratteristiche con le tutele del lavoro subordinato? E perché non impostare tutele minime a prescindere dalla forma contrattuale, affidandosi alla libera concorrenza delle imprese per offrire le condizioni migliori?
Tramite la legge 128/2019 e un successivo contratto collettivo, l’Italia fu il primo paese a disciplinare il lavoro tramite piattaforma. In quel contesto, l’attuale maggioranza di governo supportò concretamente i risultati ottenuti: un quadro giuridico stabile, maggiori tutele per i lavoratori e il mantenimento della flessibilità tipica di questi servizi. Quel modello giuridico, vigente ancora oggi, dovrebbe allarmare il governo italiano di fronte alla proposta dell’Unione europea, che ne stravolge i principi di base e la stessa applicabilità. Considerando le forti criticità che presenta, gli Stati membri e l’Italia in primis dovrebbero pensarci due volte prima di sostenere la direttiva nella sua forma attuale.
da Libero, 21 dicembre 2023