Il bilancio in corso di approvazione in Parlamento non aumenta le tasse.
In un paese con un livello di tassazione oltre il 41% dovrebbe essere al più una non notizia, non una buona notizia. In un paese nel quale la produttività non conosce incrementi da un ventennio, con una crescita stagnante, la buona notizia sarebbe tornare a crescere, non che la pressione fiscale non aumenti.
In un altro paese, non sarebbe una buona notizia nemmeno che per la sesta volta consecutiva il bilancio non rispetta le prescrizioni costituzionali. Per consentire il margine di spesa necessario, infatti, il governo ha chiesto l’autorizzazione a rimodulare il sentiero di avvicinamento all’obiettivo di medio termine senza che, anche quest’anno, si possa raggiungere quell’equilibrio fra entrate e uscite prescritto dalla Costituzione. L’obiettivo slitta così al 2022. Per ora.
Secondo la Costituzione, lo scostamento dall’obiettivo dell’equilibrio nel medio termine può essere concesso a maggioranza rafforzata dal Parlamento per grave recessione economica o per eventi straordinari come gravi crisi finanziarie e calamità naturali. In realtà, al di là delle formule apparentemente stringenti, ad oggi si sono invocate condizioni ormai ordinarie dell’economia italiana, come l’intensità della caduta del Pil o il tasso di crescita negativo, o la necessità di non aumentare l’IVA. Insomma, basta che il Parlamento voti, e la prescrizione costituzionale finisce fra parentesi.
Questo esecutivo, in continuità coi precedenti, non prende sul serio gli impegni costituzionali. E così continua a far finta che non esista il problema del debito pubblico. Per come è nata ed è stata scritta la riforma dell’art. 81 sull’equilibrio di bilancio, non occorreva essere pessimisti per prevedere che sarebbe stato un debole argine alla fame di tasse. Tuttavia, approvarlo quasi all’unanimità sembrava essere stato il segnale della consapevolezza che il debito fosse un problema. Una consapevolezza purtroppo spenta prima ancora accendersi.
19 novembre 2019