Un menù di vincoli per l'home restaurant

Il bisogno di evitare la persistenza di un "vuoto" legislativo si è tradotta in una regolamentazione che introduce limiti illogici e contraddittori

24 Gennaio 2017

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

La differenza tra il tic compulsivo di legiferare e l’esigenza di colmare un vuoto legislativo è nel disegno di legge sull’home restaurant, attività che in Italia fattura annualmente più di 7 milioni di euro.

Era infatti prevedibile che il parlamento, prima o poi, sarebbe intervenuto nella smania di riconoscere, per controllare specie a fini fiscali, una nuova forma di attività economica. Ed era anche prevedibile che ai nostri rappresentanti venisse l’idea di estendere gli standard igienici e di sicurezza richiesti ad attività similari, per quanto svolte in via professionale.

Il bisogno di evitare la persistenza di un “vuoto” legislativo si è tradotta in una regolamentazione che introduce limiti illogici e contraddittori, specie in un periodo in cui le attività redditizie si cercano col lanternino, e avrebbero bisogno di essere valorizzate e non represse.

Il limite di ricavi di 5000 euro l’anno spicca tra gli altri a evidenziare una legge che soffocherà una delle poche attività in crescita nel nostro paese. Ma non sono da meno gli altri vincoli burocratici, specie quelli relativi ai requisiti di igiene e sicurezza che, in parte rinviati a norme attuative, potranno trasformarsi in un freno ad un’attività evidentemente non professionale: dall’accettare clienti con almeno trenta minuti di anticipo al possedere i requisiti di onorabilità, dall’obbligo di sottoscrivere una polizza assicurativa sia sull’unità abitativa che per la copertura dei rischi derivanti dalla propria attività al dotarsi della certificazione di agibilità, fino all’obbligo di comunicazione ai comuni delle unità immobiliari registrate sulle piattaforme digitali di intermediazione. Considerati nel loro insieme, si tratta di obblighi paradossalmente più onerosi che per i ristoratori, che possono accettare contanti, non devono sottoscrivere polizze assicurative e possono accettare clienti senza preavviso.

Basta poco per capire come le misure adottate, anziché tutelare la concorrenza e, quindi, il consumatore, si risolvano ad avere due obiettivi diversi, ma consueti al legislatore: proteggere gli incumbent (in questo caso i ristoratori tradizionali) da nuove forme di concorrenza, e rendere più facile l’esazione delle tasse.

Anche a voler prendere sul serio il primo dei due obiettivi, esiste una differenza sostanziale tra il ristorante tradizionale e l’home restaurant.
Il primo è un esercizio pubblico, ossia un locale in cui si svolge un’attività commerciale, aperto ed accessibile a chiunque. Il secondo, invece, è una semplice abitazione, non accessibile a tutti, in cui viene svolta, occasionalmente, un’attività di ristorazione.

Quanto al secondo obiettivo, le attività di home restaurant sono già tassate come attività saltuarie di impresa. Obbligare al pagamento elettronico ha solo il senso di rendere più facilmente tracciabili le transazioni. Se la normativa deprime un’attività economica, però, è difficile aspettarsi di aumentare il gettito tributario solo perché ad essere aumentati sono i controlli.

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