16 Gennaio 2017
Il Foglio
Francesco Ramella
Research fellow, IBL e docente di Trasporti, Università di Torino
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Immaginate una camera ricolma di polvere nella quale non è possibile scorgere gli oggetti presenti a qualche metro di distanza. Il locale viene accuratamente ripulito e non restano che minime tracce della sporcizia iniziale. Questo è quanto accaduto nel corso negli ultimi cinquanta anni nel cielo fuori dalle stanze delle nostre città. Poco alla volta, lo smog degli anni ’50 si è diradato.
Un radicale, e sconosciuto ai più, miglioramento della qualità dell’aria ha avuto luogo sia in Europa sia negli Stati Uniti come testimoniano i dati dell’EPA, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente. Negli USA tra il 1980 ed il 2015 la ricchezza prodotta è aumentata del 153%, la popolazione del 41%, i consumi di energia del 25%, le percorrenze complessive dei veicoli sono più che raddoppiate; nello stesso arco di tempo le emissioni dei sei principali inquinanti sono diminuite di quasi due terzi rispetto al valore iniziale. Come è stato possibile raggiungere questo risultato? Grazie agli sforzi di innovazione tecnologica compiuti nel settore della produzione di energia, del riscaldamento ed in quello della mobilità.
Per ottemperare ai vincoli imposti dal regolatore tecnici ed ingegneri delle case automobilistiche hanno escogitato sistemi via via più sofisticati per abbattere i gas di scarico. I risultati sono eccellenti: per ogni miglio percorso, cinquanta auto commercializzate nel 2016 introducono in atmosfera all’incirca la stessa quantità di sostanze nocive che quaranta anni fa fuoriuscivano dalla marmitta di un solo veicolo. Siamo ormai quasi nella condizione di raschiare il fondo del barile.
Ciò nonostante, il dito dell’opinione pubblica sembra nuovamente essere puntato contro le case costruttrici. Dopo Volkswagen, oggi è il turno di FCA Chrysler, accusata da EPA di aver installato su centomila veicoli diesel un software in grado di disattivare il funzionamento dei dispositivi di abbattimento degli ossidi di azoto in condizioni diverse da quelle consentite per evitare di arrecare danni al motore. Sergio Marchionne ha smentito con forza tale ipotesi. Nei prossimi mesi capiremo meglio se vi sia stato o meno una violazione delle norme in vigore. Fin d’ora è possibile però tentare una riflessione di carattere più generale sul tema della regolamentazione.
La domanda che dovremmo porci è se non stiamo fissando l’asticella troppo in alto. Per tornare all’esempio iniziale, raggiunto un soddisfacente livello di pulizia della camera, si decide di interrompere l’operazione. Il buon senso ci dice che non è più opportuno insistere: la rimozione di un ulteriore grano di polvere non vale il tempo e la fatica necessari per portarla a compimento. Nel linguaggio degli economisti, è opportuno fermarsi quando il costo marginale supera il beneficio marginale.
Un eccesso di regolazione può generare rischi superiori a quelli che si intendono evitare: è quanto, ad esempio, può accadere con la procrastinazione dell’acquisto di un’auto meno inquinante e per questo più costosa e che proteggerebbe meglio il potenziale acquirente in caso di incidente.
L’inquinamento zero, quand’anche fosse tecnicamente fattibile, non è un obiettivo desiderabile. Non lo è in termini di impiego ottimale delle risorse ma neppure sotto un profilo esclusivamente ambientale come dimostra l’evoluzione più recente della normativa europea riguardante il settore automobilistico. Si è voluto “ad ogni costo” puntare sui veicoli caratterizzati da minori consumi di carburante favorendo in tal modo la diffusione dei veicoli alimentati a gasolio in misura assai maggiore rispetto agli Stati Uniti. L’effetto inintenzionale di tale approccio è stato un rallentamento (di cui mai nessun regolatore sarà chiamato a rispondere) dell’evoluzione positiva della qualità dell’aria.
I trade-off si possono certo ignorare ma non per questo cessano di esistere e di incidere sulla realtà. Neppure quelli ambientali sono pasti gratis. Una rigorosa analisi di costi e benefici dei provvedimenti è imprescindibile. L’obbligo di sottoporre a questo tipo di valutazione ogni nuova regolazione delle Agenzie federali venne introdotto nel 1981 dall’amministrazione Reagan ma, in assenza di una forte volontà politica di farlo rispettare, è stato in seguito spesso disatteso con un’evidente accelerazione. La nuova Amministrazione Trump sembra intenzionata ad invertire tale tendenza.
Da Il Foglio, 14 gennaio 2017