L’editoria italiana, come al solito, galleggia in un curioso paradosso, in un cul de sac romanzesco. Da un lato aumentano le vendite dei libri in un’insufflata di cultura che neanche Harold Bloom; dall’altro chiudono le librerie. Così si fa una legge alata che parte col colpire il mercato; epperò questa stessa legge potrebbe finire coll’affossare le stesse librerie. Forse. O forse no.
Giorni fa l’Aie, l’associazione italiana editori, ha dato la notizia che «l’editoria italiana di varia (romanzi e saggi in formato cartaceo ed e-book) si è rafforzata nel 2019: crescono fatturato (+4,9%) e, per la prima volta dal 2010, le copie vendute (+3,4%) nei canali trade, ovvero librerie, grande distribuzione organizzata e store online. Il settore torna così a un giro d’affari superiore a quello del 2011 (1,493 miliardi, e-book compresi, contro 1,432), ma soffre gli effetti della pirateria che sottrae 247 milioni di euro di vendite nelle librerie ogni anno». Viva, viva.
In un paese tendenzialmente di capre letterarie come il nostro questa è una bella notizia. A cui fa da contraltare, però, un dato ansiogeno: in Italia, infatti, negli ultimi anni sono 2300 circa le librerie che hanno chiuso i battenti (dal 2016 ad oggi secondo Paolo Ambrosini dell’Ail). Ed è per questo che il ministro della Cultura Dario Franceschini ha fortemente voluto la legge per la promozione e il sostegno alla lettura, chiamata «Legge per il libro».
Il provvedimento è appena stato votato all’unanimità in Senato, prevede un Piano Nazionale d’Azione per la promozione della lettura con un Fondo che ha una dotazione di 4.350.000 euro annui a decorrere dal 2020. Il Fondo è gestito dal Centro per il Libro e la Lettura.
Trattasi di una legge che, a prima vista, si basa su iniziative meritorie: viene incrementato di 3.250.000 euro il credito di imposta (tax credit) di cui possono usufruire i librai; c’è il sostegno alle biblioteche scolastiche non considerate più come la fortezza Bastioni; è stata istituita una “Capitale italiana della cultura” annuale, di nomina misterica (ma meglio che niente); si prevedono dei “Patti locali per la lettura” e un “albo delle librerie di qualità” che dovrebbero valorizzare l’enorme potenziale culturale delle Provincia spesso nelle mai di pochi eroici valvassori del libro.
La scontistica
Ma il nodo gordiano della nuova legge è la scontistica: «Nelle librerie, store online, grande distribuzione, lo sconto ordinario massimo passa dal 15% al 5% (ma rimane il 15% per i libri scolastici). I punti vendita possono organizzare promozioni, una volta l’anno, con il limite di sconto del 15% mentre oggi le promozioni sono rimesse solo agli editori. Per le promozioni, gli editori hanno la possibilità di uno sconto massimo del 20%, non più del 25%». Ed è qui che se la sinistra è schierata in quadrata falange sul ddl il mondo della destra intellettuale si divide. C’è la frangia dei liberisti/liberali i quali dubitano fortemente che il «divieto di fare sconti possa fare leggere di più» e che l’imposizione per legge di un «accordo verticale», se adottato privatamente, sarebbe senz’altro sanzionato dall’antitrust. Serena Sileoni, vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni, è sbottata su Twitter e in un aguzzo editoriale sul Foglio: «Questa legge è una boiata perché è contraria alla legge di mercato. Se devi incentivare il settore, come fai a limitare gli sconti? È una regressione che va ad impattare sul ceto medio. La conseguenza è che, dopo il 2011 i prezzi dei libri sono aumentati, il mercato s’è contratto e Amazon vende di più. Non s’è risolto il problema delle piccole librerie e s’è fatto un torto ai lettori. Il fatto è che il danno ai grandi come Amazon in realtà non è un aiuto al piccolo, anzi».
Chi dice sì
Di rimando, editori piccoli e assai “conservative” come Francesco Giubilei di Historica e Cultora, plaudono alla nuova legge. Sostiene Giubilei, anche librario, impegnato in una battaglia culturale di territorio come presidente delle Fondazione Tatarella: «Questa del 5% è un’ottima soluzione che fa respirare le librerie e le rende più competitive rispetto ad Amazon: e permette agli editori indipendenti di mandare il messaggio che i libri come tutti gli altri prodotti hanno valore commerciale e in prospettiva culturale alto. Oggi è prassi che si possano acquistare libri subito a prezzo scontatissimo, e questo svilisce il prodotto». Per la destra sociale di Giubilei Amazon è lo strangolatore; per quella ultraliberista di Sileoni Amazon è il player che, indirettamente, aiuta i piccoli a sopravvivere («Amazon non può fare sconti. Ma siccome il vero problema delle piccole librerie che faticano anche solo a ordinare i titoli e dei piccoli editori non è lo sconto, ma la distribuzione, si prende la soluzione dalla parte sbagliata»).
Ancora non ho capito chi abbia ragione. Ma che da questa parte delle barricata s’infiammi il dibattito culturale, be’, non può fare che piacere…
Da Libero, 9 febbraio 2020