Una Repubblica fondata sul lavoro (ma solo nei giorni feriali)

Parlando di una “dimensione umana superiore a quella lavorativa” si fa un figurone, soprattutto se si predica a parrocchiani con la pancia relativamente piena

Esattamente tre anni fa, alla fine dell’agosto 2012, lo stabilimento Fiat di Melfi sospendeva la produzione collocando per due giorni i lavoratori in cassa integrazione ordinaria. 

Oggi, Melfi lavora a ritmi sostenuti. Vi si producono la Fiat 500X e la Jeep Renegade. Sono macchine di cui c’è domanda e pertanto si lavora anche di domenica, per tenere il passo rispetto agli ordini: una scelta frutto di un accordo sindacale che salvato molti posti di lavoro.

Per il vescovo di Melfi, tuttavia, il miracolo in terra non sarebbe la manifesta ripresa dell’attività produttiva dello stabilimento, né l’assunzione di trecento nuovi operai: ma la cessazione del lavoro domenicale. Una Repubblica fondata sul lavoro non sogna che il riposo. Così Leo Longanesi commentò il primo, sibillino articolo della Costituzione repubblicana. Sua eminenza l’ha preso sul serio.

La questione non sarebbe solo religiosa. Né il punto starebbe nel precetto di recarsi alla messa. Per dirla con Papa Bergoglio, la questione riguarderebbe invece il secolare diritto al riposo e il recupero di una dimensione umana superiore rispetto a quella lavorativa.

L’uomo è di più che un paio di braccia prestate a uno stabilimento, su questo siamo tutti d’accordo. Ma è curioso che proprio all’autorità religiosa sfugga come il lavoro sia parte integrante dell’identità di ciascuno. Noi non siamo solo quello che facciamo: ma siamo anche quello che facciamo. Nel dare un contributo, piccolo o grande, al benessere degli altri; nel fare delle “cose” che a un certo punto servono ad altri e ne incontrano il gusto; nel forte senso di dignità che matura con l’indipendenza personale e finanziaria; noi mettiamo “significato” alle nostre vite.

Anche per questo è tanto terribile perderlo, il lavoro. Perché con esso se ne va lo strumento per sostenere le nostre famiglie, ma anche la percezione di essere un membro produttivo della società in cui viviamo. 

La preoccupazione di chi non ha o non ha più il lavoro, il senso di emarginazione e disgregazione che a livello individuale e territoriale la disoccupazione può causare, sono la vera alienazione. Di ciò se ne rendono conto, ne siamo certi, gli operai che impiegano alcune ore della domenica pensando al bene loro e delle loro famiglie, lavorando per un’impresa che sperano vada sempre meglio proprio perché tengono al loro impiego. E così accettano anche il sacrificio, se tale dovesse essere, di uno straordinario festivo.

Nessun datore di lavoro può togliere ai suoi operai il diritto all’astensione dal lavoro, secondo turni concordati e aderenti alla legge. Al vescovo di Melfi suggeriamo che quelle ore di riposo potranno essere piene di un senso di benessere, materiale e spirituale, proprio perché non sono ore di riposa “forzate”, dovute all’assenza di lavoro. 

Parlando di una “dimensione umana superiore a quella lavorativa” si fa un figurone, soprattutto se si predica a parrocchiani con la pancia relativamente piena. La Chiesa di Papa Bergoglio vorrebbe essere megafono dei poveri e poverissimi. Ebbene il problema dei poveri e poverissimi non è quello di recuperare una dimensione umana superiore a quella lavorativa, qualsiasi cosa significhi. Ma è quello di avere pane in tavola, e le opportunità per potercelo portare.

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