13 Gennaio 2025
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Politiche pubbliche
Mancano pochi giorni all’insediamento di Donald Trump. Alcuni osservatori si inquietano perché alla Casa Bianca sta entrando un protezionista. Sono timori legittimi e condivisibili. Solo che va chiarito un punto: gli Stati Uniti hanno avuto un Presidente protezionista anche negli ultimi quattro anni.
Non solo: Joe Biden ha attinto a un arsenale di motivazioni in nulla diverso da quello di Trump, ovvero ha mescolato la politica economica a presunte ragioni di sicurezza nazionale. L’ultima decisione rilevante della sua amministrazione è stata bloccare l’acquisizione di US Steel da parte di Nippon Steel. Quest’ultima è un’impresa giapponese: ovvero di un Paese che è un solido alleato degli Usa dalla fine della seconda guerra mondiale e da un ventennio non è nemmeno più percepito come un concorrente particolarmente pericoloso.
Nippon Steel avrebbe pagato un premio rilevante agli azionisti (al 98% d’accordo con la fusione), pagando l’impresa siderurgica americana 15 miliardi di dollari. Ai quali si sommavano due promesse: nuovi investimenti in Usa per quasi 3 miliardi e il riconoscimento al governo di un potere di veto sulla chiusura di stabilimenti negli Stati Uniti. Il Pentagono, il Dipartimenti di Stato e il Tesoro non ravvisavano rischi nell’acquisizione, la quale è stata anche molto sostenuta, nell’opinione pubblica, dagli esperti di geopolitica: convinti che rinsaldare i rapporti economici col Giappone potesse essere utile per infondere nuova linfa a un’antica alleanza. Biden si è aggrappato al parere negativo del Comitato per gli investimenti stranieri negli Stati Uniti (Cfius), una giunta alla quale partecipano sedici diverse agenzie federali e che è in buona sostanza espressione della comunità dell’intelligence (nota per le competenze economiche).
Il Cfius, dopo una lunga storia di semi-irrilevanza (venne costituito da Gerald Ford nel 1975), è andato ampliando i propri poteri negli ultimi vent’anni. È considerato uno degli anfratti più opachi dello Stato amministrativo. Nippon Steel e gli azionisti di US Steel hanno già fatto ricorso. Dietro la decisione di Biden, a mettere a fuoco il binocolo si intravvede non tanto la «sicurezza nazionale» ma da una parte le organizzazioni sindacali, che temevano di vedere ridimensionato il proprio potere, e dall’altra Cleveland Cliffs, un imprenditore dell’acciaio americano che nel 2023 aveva offerto per US Steel 7 miliardi di dollari: cioè meno della metà di quanto hanno fatto i giapponesi. Dice il saggio che a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si indovina.
Più pericoloso del protezionismo è prendere sul serio i protezionisti. Farsi ammaliare dal luccichio di parole come interesse e sicurezza nazionale. Che nascondono però decisioni che non avvantaggiano la totalità di quanti appartengono alla «nazione», quanto invece gruppi e imprese specifici.
Più la politica si occupa di economia e più le regole del gioco del mercato vengono truccate a vantaggio di chi sa coltivare i detentori pro tempore del potere politico. L’appello alla bandiera è solo patriottico fumo negli occhi.