Viaggio alle origini dei banchieri centrali

Riflessioni sul ruolo della politica monetaria mentre esce in italiano il fondamentale libro di Milton Friedman e Anna Schwartz

10 Ottobre 2022

L'Economia – Corriere della Sera

Argomenti / Politiche pubbliche

Pubblichiamo un estratto delle prefazione di John B. Taylor all’edizione italiana della Storia monetaria degli Stati Uniti, 1867-1960, libro che ha gettato le fondamenta della politica monetaria

Una sessantina di anni fa, nel 1963, Milton Friedman e Anna Schwartz dettero alle stampe la prima edizione della «Storia monetaria degli Stati Uniti». Rammento di averlo letto all’università e di avere scritto la mia tesi sulla regola del tasso di crescita costante per la massa monetaria, in cui affermavo che si trattava «del genere di intervento monetario che Friedman aveva ipotizzato. La massa monetaria aumenta a tasso costante, a prescindere dalla presenza o meno di un disavanzo inflazionistico o deflazionistico». Sotto molti aspetti il libro ha rivoluzionato il modo in cui la gran parte di tecnici e studiosi concepisce la politica monetaria.

Per molti anni, la regola di politica monetaria più diffusamente citata è stata quella che prescrive una crescita costante della massa monetaria. Ciò nonostante si possono concepire regole per altri strumenti monetari, tanto per il tasso di interesse a breve termine quanto per la massa monetaria. La somiglianza tra le regole sulla massa monetaria e quelle sul tasso di interesse è che queste ultime hanno le medesime proprietà: un aumento del Pil reale significa che la banca centrale deve alzare il tasso di interesse, così come un aumento del tasso di inflazione fa sì che la banca centrale debba spingere verso l’alto il tasso di interesse. In caso di periodi prolungati di inflazione o deflazione diventa necessario affiancare alle regole che governano i tassi di interesse a quelle relative alla massa monetaria.

I recenti avvenimenti negli Stati Uniti e in altre parti del mondo, tuttavia, hanno iniziato di nuovo a sollevare questioni sul valore delle regole di policy. Per diversi anni, a partire dal 2017, la Federal Reserve ha iniziato a ritornare a una politica monetaria maggiormente basata su regole, una policy che aveva ottenuto eccellenti risultati nel passato. Questo progresso si è interrotto nel primo trimestre del 2020, quando l’economia americana è stata colpita dal Covid. La Fed ha intrapreso una serie di iniziative per venire alle prese con gli effetti della crisi sanitaria sull’economia, compresa una rapida riduzione dei tassi di interesse federali, un netto aumento del tasso di crescita della moneta e l’acquisto su grande scala di buoni del Tesoro e di titoli garantiti da mutui, causando così un’enorme espansione degli attivi di bilancio.

Sono in molti a ritenere che questi interventi fossero contraddistinti da un notevole grado di discrezionalità e che non fossero compatibili con una policy basata su regole. Mentre erano in corso questi cambiamenti, molte delle banche centrali di tutto il mondo hanno iniziato una revisione formale delle proprie strategie. Una delle prime a completare la revisione è stata proprio la Fed, che ha deciso di passare a una nuova «forma flessibile degli obiettivi di inflazione media», per usare le parole usate da Jerome Powell, presidente della Federal Reserve.

In verità, sembrava proprio che fosse in corso il tentativo di riformare l’intero sistema monetario internazionale, in cui ogni Paese o regione del mondo stava seguendo una strategia analoga a quella della Fed, ovviamente adattata alla propria situazione. Ma questo tentativo deve ancora essere realmente attuato.

Esiste un altro punto di vista in materia di massa monetaria che, negli anni più recenti, ha ricevuto una notevole attenzione. Tale interpretazione è stata esposta da Stephanie Kelton e viene talvolta detta Modern Monetary Theory. Le idee che la sottendono sono associate a proposte di intervento pubblico, come programmi di lavoro garantito o la completa ristrutturazione dell’economia per venire alle prese con i rischi ambientali. Al fine di trasferire risorse da un settore dell’economia all’altro, viene spesso ipotizzata l’imposizione di controlli su prezzi e salari come in tempo di guerra.

L’idea di fondo è che il denaro o i depositi giacenti nella banca centrale potrebbero essere utilizzati per coprire il deficit di bilancio del governo federale, creando così un legame tra politica monetaria e politica fiscale. Gli stabilizzatori automatici della politica fiscale continuerebbero a funzionare, ma risulta difficile stabilire in che modo questa impostazione potrebbe avere successo in pratica negli anni futuri. Vi sono numerosi esempi storici in cui cattivi ragionamenti economici hanno prodotto pessime politiche economiche e, quindi, uno scadente rendimento dell’economia. Questo processo viene invertito quando concetti economici validi prendono nuovamente il sopravvento e le politiche cambiano.

La Grande Depressione degli anni Trenta, illustrata così chiaramente nella «Storia monetaria», o la Grande Inflazione degli anni Settanta ne sono esempi luminosi. Negli anni Settanta gli Stati Uniti imposero controlli a prezzi e salari e la Fed contribuì a coprire il deficit di bilancio creando moneta. Il risultato fu la terribile economia di quel decennio, in cui aumentarono disoccupazione e inflazione. Questo fenomeno ebbe fine solo sul finire degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, quando la crescita della massa monetaria venne ridotta.

Dobbiamo sperare che nel 2063, quando gli storici dell’economia esamineranno gli avvenimenti dei cent’anni appena trascorsi, possano constatare che gli esempi di buone politiche monetarie saranno stati più numerosi di quelli cattivi e che, quindi, il rendimento dell’economia è stato più positivo che negativo. La differenza la faranno le politiche che adotteremo nella prossima quarantina d’anni, ma c’è già molto da imparare dalle esperienze riportate nel 1963 da Milton Friedman e Anna Schwartz nella loro Storia monetaria degli Stati Uniti.

Da L’Economia del Corriere della Sera, 10 ottobre 2022

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