L’ordinanza del ministro Speranza per obbligare all’uso della mascherina nelle ore della “movida” e per vietare il “ballo” è ridicola nel tentativo di stimolare comportamenti più responsabili e fuorviante, se non ingiusta, nel ricondurre i fattori di rischio solo al comportamento irresponsabile dei più giovani che non vogliano rinunciare all’estate.
La gatta frettolosa fa i gattini ciechi ed è il caso di questa ordinanza scritta, ci sembra, soprattutto per l’obiettivo di dare un segnale. Per come è scritta, basterebbe infatti mettere la musica senza ballare per essere nel lecito. Cosa che avviene peraltro normalmente, nei lidi e nei locali diversi dalle discoteche.
Il ministro peraltro sa, di sicuro, che l’interpretazione della sua ordinanza sarà tutt’altro che facile nella parte non dedicata alle attività da ballo: la norma impone infatti l’uso della mascherina in tutti gli spazi pubblici che, per come sono fatti, rendono “più agevole il formarsi di assembramenti”. Ma quali sono le “caratteristiche fisiche” per cui un luogo facilita l’assembramento? Un vicolo agevola più di una piazza? E quanto deve essere grande una piazza per poter togliere la mascherina? La questione delle caratteristiche fisiche è così mal posta che in via non tassativa l’ordinanza cita “piazze, slarghi, vie, lungomari”, cioè qualsiasi spazio all’aperto. Perché allora non limitarsi a dire che l’obbligo di mascherina c’è sempre, per tutti gli spazi pubblici urbani, senza lasciare agli agenti di pubblica sicurezza l’incombenza di distinguere ciò che è indistinguibile?
Tutti dobbiamo, in condizioni di grande incertezza come questa, cercare di avere un comportamento prudente. Tuttavia, la capacità di convivenza con un virus che sapevamo non se ne sarebbe andato con l’estate e che non può essere fronteggiato solo con il lockdown non dipende solo dai comportamenti di ciascuno di noi, ma anche da grado di preparazione di servizi che lo Stato ha scelto di gestire, in particolare quello alla salute, dal quale, a distanza di mesi, possiamo pretendere una maggiore prontezza e capacità di risposta rispetto ai mesi di febbraio/marzo. Se la prossima sfida, e la più importante per il Paese, è la riapertura delle scuole, essa non può dipendere da comportamenti estemporanei, ma da pratiche e protocolli che debbono essere l’esito di riflessione attenti, e dalla capacità di attuarli.
Additare come causa di un eventuale aumento sistematico dei contagi la voglia d’estate dei giovani è una malevola ipocrisia pari solo a quella con cui è passata l’idea che gli untori fossero gli immigrati o gli italiani di rientro. Serve a trovare un capro espiatorio, ma non una soluzione. Un atteggiamento che non promette nulla di buono, in vista del 14 settembre.
19 agosto 2020