«La scelta per il nostro futuro è tra un mondo nel quale ci sia libertà di scegliere e un mondo nel quale qualcun altro, per quanto animato dalle migliori intenzioni, pretenda di scegliere per noi». In questa frase così chiara ed efficace di Alberto Mingardi, autore di “Capitalismo“, si legge una precisa scelta di campo in favore del liberalismo. Ma anche, e con altrettanta decisione, di quel capitalismo che i suoi critici marxisti (consapevoli o meno di essere tali) amano liquidare come un mero strumento di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Capitalismo uguale oppressione, quindi. Mingardi, però, ci racconta da par suo, da professore di Storia delle Dottrine Politiche allo Iulm e direttore dell’Istituto Bruno Leoni, oltre che autore raffinato specializzato sul tema del liberalismo un’altra storia.
L’accumulazione
L’autore non si nasconde dietro un dito. Dichiara subito, concordando con Keynes, che è vero che nel mezzo secolo precedente la Prima guerra mondiale era avvenuta «un’immensa accumulazione di capitale fisso che non si sarebbe potuta formare in una società dove la ricchezza fosse egualmente divisa». Ma precisa (sempre citando l’economista inglese sostenitore della spesa pubblica) che questo aveva portato «grande vantaggio all’umanità». Ed è questo il punto: il capitalismo non porta sulla Terra la perfetta giustizia sociale, ma certamente moltiplica ricchezza e distribuisce benessere in grado di elevare il livello di vita di ogni strato della società.
Eppure, “capitalismo” è una parola che ancor oggi viene abitualmente pronunciata con un sottinteso critico, quando non apertamente negativo. Intellettuali che non rinuncerebbero mai nemmeno a una briciola dei vantaggi di cui godono grazie ad esso amano ostentare il loro disprezzo verso il sistema sociale basato sul capitale. Si riempiono la bocca di slogan come «abbattere le diseguaglianze», attribuendo al capitalismo ogni responsabilità per il loro permanere e non comprendendo che la società utopica egualitaria e senza classi vagheggiata da Marx e attuata dai vari Lenin, Stalin e Mao è un sogno puerile basato sull’odio che ha generato solo violenza e il tragico sorgere di diseguaglianze di altra natura: basti ricordare cosa fosse la “nomenklatura” sovietica e quali siano i privilegi dei “principi rossi” nell’odierna Cina Popolare.
Un fraintendimento
La fortuna della parola “capitalismo”, sostiene Mingardi, deriva da un fraintendimento: quello secondo cui l’operaio sia oppresso per il fatto stesso di essere subordinato a chi lo paga per lavorare. Ma l’autore ci ricorda che i bambini sfruttati cinicamente dai loro padroni nell’epoca dickensiana lo erano anche nella precedente società agricola, e che solo grazie alle modificazioni sociali indotte dalla rivoluzione industriale quegli stessi bambini e i loro familiari cominciarono a vivere meglio. La deprecata “società dei consumi” ha prodotto un innalzamento del livello di vita anche per chi prima non avrebbe potuto neppure sognarlo, e questo perché la produzione di massa significa produzione di beni per la massa, posta in condizione di acquistarli.
I critici influenzati dal marxismo, tuttavia, insistono nel denunciare una presunta “colpa originaria” del capitalismo: quella di rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Anche qui, Mingardi rimanda le accuse al mittente: il concetto stesso di accumulazione, ricorda, non nasce col capitalismo, perché è antico come il mondo. Più ancora, il capitalismo non è uno dei tanti “ismi” dei nostri tempi con un progetto politico magari segreto da conseguire, come piace pensare ai soliti complottisti: «Non esiste – scrive – un Manifesto del capitalismo». Ha semmai a che fare con il concetto di libertà, che non è solo economica. Ed è per questo che infallibilmente chi fugge da realtà di povertà e oppressione va a cercarla là dove il capitalismo ha seminato, oltre che benessere, opportunità: grazie ad esso, il contesto in cui viviamo da 250 anni a questa parte è il più favorevole della storia umana. E sono le classi più basse, per le quali gradualmente «il lusso di ieri diventa il consumo comune di oggi», a trarne i maggiori vantaggi.
Alberto Mingardi, “Capitalismo“, Il Mulino, 168 pagine, 13 euro.
da La Provincia, 27 giugno 2023