«Il libero mercato aiuta il pianeta più degli ecofanatici»

Rainer Zitelmann stronca la decrescita felice: «Il socialismo ha fallito, ma per l'87% degli italiani il capitalismo si può sostituire»

11 Maggio 2023

La Verità

Argomenti / Teoria e scienze sociali

«Il capitalismo è responsabile della fame nel mondo e della povertà». «Il capitalismo causa la distruzione dell’ambiente e il cambiamento climatico». «Il capitalismo è dominato dai ricchi che stabiliscono le politiche dei governi». «Nel capitalismo è sempre insito il pericolo del fascismo». Sono solo alcune delle dieci «più grandi falsità anticapitaliste» che vengono smontate negli altrettanti primi capitoli del libro di Rainer Zitelmann Elogio del capitalismo. Dieci miti da sfatare (Ibl libri, 392 pagine). La seconda parte del volume è dedicata alla percezione comune del capitalismo accompagnata dai risultati di un sondaggio internazionale sulla percezione del capitalismo e del libero mercato tra le persone condotto in 34 Paesi e che ha coinvolto 34.550 soggetti. In Italia sono state intervistate da Ipsos Mori 1.090 persone dal 30 luglio al 9 agosto 2021. Il risultato? Gli italiani associano il termine capitalismo principalmente a cose negative. Non solo. Le risposte alle affermazioni favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia hanno raccolto il 26% di consensi, rispetto al 21% delle risposte favorevoli invece al libero mercato.

Nel libro lei parte dal presupposto che il capitalismo puro non esiste. Perché?
«Tutti i sistemi che conosciamo sono una miscela tra socialismo e capitalismo. Immaginate di avere una provetta in cui ci sono due ingredienti: lo Stato e il mercato, socialismo e capitalismo. Guardate cosa succede se si aggiunge più Stato o più mercato. Se si aggiunge più mercato la povertà diminuisce e aumenta la prosperità. Se si aggiunge più Stato avviene l’opposto. Prendiamo ad esempio il Venezuela. Negli anni Settanta era uno dei 20 Paesi più ricchi del mondo. Poi hanno iniziato a regolamentare il mercato del lavoro, quindi sempre più Stato. E alla fine, ovviamente, le cose sono peggiorate. E nel 1998, la gente ha votato per Hugo Chàvez e il primo anno non è stata male perché il prezzo del petrolio è aumentato molto. Poi, però, sono scattate le nazionalizzazioni, poi l’inflazione è andata alle stelle ed è arrivata la fame. Hanno abolito la democrazia, la libertà di stampa e di parola. Prendiamo, invece, il Vietnam. Nel 1990 era il Paese più povero del mondo. Hanno provato solo per un paio di anni con l’economia pianificata e poi hanno avviato una serie di riforme economiche, hanno introdotto la proprietà privata, aprendo l’economia al mondo. Lo spirito imprenditoriale e il tenore di vita sono molto migliorati. Si definiscono socialisti e hanno persino un partito comunista al governo. Ma posso garantirvi una cosa: è più facile trovare un marxista in Italia che un marxista in Vietnam».

In Europa ci sono esempi simili?
«La Polonia era uno dei Paesi più poveri d’Europa. In epoca socialista il Pil pro capite era la metà di quello della Repubblica Ceca, ed era più povero dell’Ucraina, per esempio. Da 25 anni a questa parte, se si guardano le statistiche, la crescita economica e il tenore di vita, la Polonia è davvero il campione di crescita dell’Europa. Hanno avuto un’esperienza importante: il socialismo non ha funzionato. La dittatura del proletariato è stata abolita dai lavoratori. Purtroppo, però, negli ultimi anni hanno smesso di privatizzare. Hanno nazionalizzato alcune banche. Spero che i polacchi non dimentichino il loro passato».

Guardando i risultati del sondaggio pubblicato nel suo libro, come si colloca l’Italia?
«Nonostante la miseria di massa e oltre 100 milioni di morti a seguito di esperimenti socialisti falliti negli ultimi 100 anni, solo il 13% degli italiani afferma che “il capitalismo è insostituibile e che i tentativi passati di sostituire il capitalismo hanno sempre portato a dittature e sofferenze”. Solo il 19% degli italiani ha riconosciuto che “il capitalismo ha migliorato le condizioni di vita della gente comune in molti Paesi”».

Nel presentare le alternative anticapitaliste lei sottolinea che il socialismo sembra sempre buono sulla carta, tranne che sulla carta delle pagine dei libri di storia.
«Credo che dovremmo imparare di più sulla storia e dall’esperienza. Non manca giorno che qualcuno, da qualche parte nel mondo, non sogni una nuova alternativa al capitalismo. Ci sono innumerevoli libri e teorie, per esempio sull'”economia della post crescita” o sui nuovi sviluppi del socialismo. Non voglio occuparmi di queste teorie, che esistono solo sulla carta ma non sono mai state sperimentate nella pratica: primo perché ce ne sono troppe, secondo perché è ingiusto confrontare la realtà con una teoria, un libro o una costruzione del pensiero. Il più grande errore che fanno gli anticapitalisti è quello di creare nella loro testa un perfetto ordine sociale o economico e credere che, se solo un numero sufficiente di persone lo condividesse, sarebbe possibile realizzare la loro costruzione intellettuale nel mondo reale».

Lei definisce l’anticapitalismo anche una religione politica.
«Penso che sia davvero una religione. Non ha nulla a che fare con i fatti. Lo dimostra anche la piega che stanno prendendo in chiave anticapitalista le manifestazioni del movimento che si definisce dell'”ultima generazione”. In tutti i libri di maggior successo che propongono un programma ambientalista, come quello di Naomi Klein o quello più recente di Greta Thunberg, leggiamo che viaggiare in auto deve essere proibito, volare deve essere proibito, ciascuno deve mangiare meno e sicuramente non proteine e grassi, dovremmo smettere di costruire case e ridurre il riscaldamento in quelle già costruite. Viene rifiutata qualsiasi soluzione pragmatica, la gente deve cedere al panico e il capitalismo deve essere abolito. In generale, gli ambientalisti chiedono un’economia pianificata. Ma è una follia. Se incrociamo l’indice di libertà economica con l’indice di protezione ambientale, vediamo che i Paesi in cui è garantita una maggior libertà economica, che poi sono anche quelli più ricchi, sono maggiormente rispettosi dell’ambiente. Al calare della libertà economica, peggiora anche la tutela dell’ambiente».

da La Verità, 10 maggio 2023

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