Zygmund Bauman: Un solido pensatore marxista che "liquidò" il capitalismo

Morto il filosofo polacco che teorizzò la fragilità strutturale della società contemporanea. La colpa? Del consumismo

10 Gennaio 2017

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

È morto ieri Zygmunt Bauman, il sociologo polacco celebre per l’idea di «società liquida». Aveva 91 anni. Nato a Poznan nel 1925, Bauman viveva da anni a Leeds, in Gran Bretagna. Dopo l’invasione della Polonia nel 1939, Bauman, di origini ebree, era fuggito in Unione Sovietica; tornato a Varsavia, dove si laureò, negli anni Sessanta era dovuto emigrare di nuovo e si era trasferito prima in Israele (dove ha insegnato all’Università di Tel Aviv); poi, dal 1971 al 1990 è stato professore all’Università di Leeds. In Italia i suoi libri (fra cui Modernità liquida) sono quasi tutti pubblicati da Laterza.

La metafora, un po’ come il mito stesso, rappresenta una maniera non analitica di formulare una tesi: d’interpretare la realtà. In questo senso si può immaginare che il sociologo di origine polacca Zygmunt Bauman, morto ieri nel Regno Unito all’età di 91 anni, sarà ricordato per quella nozione di «società liquida» a partire dalla quale ha voluto descrivere la realtà contemporanea. E in effetti moltissimi lavori di tale intellettuale da Modernità liquida (del 2000) ad Amore liquido (del 2003), a Paura liquida (del 2006), per citarne solo alcuni utilizzano fin dal titolo stesso questa formula, ormai associata al suo nome.

Quando Bauman parla di società liquida, la dimensione allusiva è duplice, dato che ciò che è più cruciale nella sua lettura dell’età postmoderna è l’impossibilità di confinare la realtà entro categorie afferrabili e, in particolare, entro gli schemi cognitivi che hanno dominato la razionalità occidentale nel corso degli ultimi secoli. Una nozione indefinita serve a parlare di una realtà strutturalmente indefinita, che si sottrae a ogni chiarezza. Nei suoi scritti si evidenzia lo sfaldarsi del nostro tempo anche sottolineando la crisi delle cosiddette grandi narrazioni: ossia di quelle teologie e metafisiche che hanno cercato di cogliere la realtà nel suo insieme e, in tal modo, hanno provato a darci un qualche strumento per I affrontare il futuro, vincere la paura, costruire una società migliore, esorcizzare la morte.

La società senza certezze di cui tutti siamo parte è anche la società in cui lo Stato entra in crisi, perché nessuno è in grado di disporre di una qualsiasi autorità: che legittimi la classe politica a comandare. Nella società in cui nulla possiede contorni precisi e dispone di una sua qualche consistenza, il dissesto è anche molto più generalizzato, perché ogni cosa smarrisce il proprio senso. Per Bauman, liquida è appunto quella società in cui gli uomini iniziano a convivere con una fragilità strutturale che non può neppure essere più ricondotta alla categoria della «crisi delle ideologie», dato che investe l’intera esistenza (ben oltre la sfera politica). Oltre a ciò, l’universo odierno è segnato da un individualismo sfrenato e dalla dissoluzione del singolo, che non ha più la consapevolezza delle proprie azioni e della responsabilità connessa a tutto ciò. A regnare è ciò che sta in superficie e ciò che appare meglio di quanto non sia, in un contesto nel quale a farla da padrona sono le logiche del consumo.

Qui si rivela un tratto fondamentale del pensiero di Bauman, che non può essere sottaciuto, e cioè il suo rappresentare una riformulazione, in termini nuovi, della critica tradizionale che il socialismo ottocentesco mosse alla modernità e al capitalismo. Evidenziare in termini negativi (e alquanto manichei) l’espansione dei consumi di un Occidente che ha progressivamente «contagiato» il mondo intero, favorendo l’uscita di miliardi di persone da una condizione di miseria e sottoalimentazione, significa rovesciare vecchi argomenti, senza smettere di opporsi all’ordine della proprietà e degli scambi. Mentre secondo il marxismo tradizionale il capitalismo non restituiva al lavoratore tutta la capacità di consumo che gli spettava, con il sociologismo post-marxista dell’autore anglo-polacco la libertà economica è sul banco degli imputati perché ci obbliga a comprare e ci ruba l’anima.

Va anche aggiunto che, sotto vari aspetti, la carriera intellettuale di questo sociologo ha qualcosa di sorprendente. Nato nel 1925 nella città polacca di Poznan in una famiglia ebrea, da giovane egli è attratto dalle idee marxiste e nel dopoguerra, quando la Polonia resta a oriente della cortina di ferro, s’impone quale studioso allineato, che ha l’opportunità di trasferirsi per un certo tempo in Inghilterra, alla London School of Economics, dove lavora alla tesi di dottorato. E quando dovrà lasciare la Polonia per trasferirsi in Israele, ciò avverrà più altro a causa del clima sfavorevole agli ebrei che caratterizza la Polonia dopo il 1968. Le sue ricerche di quegli anni (su temi come il socialismo britannico, la stratificazione sociale, i rapporti di classe) sono espressione di una logica accademica assai caratteristica dei Paesi del socialismo reale.

Questo elemento può aiutare a spiegare l’incredibile, e certo non giustificata, fortuna di Bauman nel mondo odierno. Non bisogna mai dimenticare, infatti, come il socialismo abbia esercitato un’influenza profonda nell’universo accademico e intellettuale, e come soltanto una sensibilità intrisa fin dall’inizio dal rifiuto dell’ordine capitalistico possa entrare in sintonia con la maggior parte dei lettori colti del nostro tempo. In qualche modo, Bauman è stato un intellettuale che ci ha detto quanto siamo inconsistenti e superficiali, e che probabilmente deve una parte del suo successo proprio a tali caratteristiche di quanti l’hanno apprezzato.

Da Il Giornale, 10 gennaio 2017

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