Alitalia e i fallimenti seriali: un conto da 10 miliardi

La situazione è più preoccupante del previsto, dice Giuricin

8 Maggio 2017

Corriere della Sera

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Più di dieci miliardi di euro. È il costo aggiornato del fallimento Alitalia, un fallimento che dura da nove anni. Dal 2008 a oggi il costo complessivo è per l’esattezza di 10 miliardi e 650 milioni. Lo dicono le stime che Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti alla Bicocca di Milano, ha elaborato per L’Economia del Corriere.

È una cifra ben superiore quindi ai 7,4 miliardi di euro dei quali finora si è parlato, fermi al 2015. «La situazione è più preoccupante del previsto – dice Giuricin, che cura anche la sezione Trasporto aereo nell’annuale Indice delle Liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni – La compagnia perde quasi due milioni al giorno, il doppio di quanto è stato ventilato in gennaio (e il quadruplo di quanto dichiarò a metà 2016 l’allora presidente Luca di Montezemolo, ndr.). Dalle mie stime, basate sul piano industriale Ball presentato ai dipendenti e bocciato dal referendum, il tasso di riempimento degli aerei Alitalia è salito l’anno scorso di due punti al 78% , ma resta inferiore di 16 punti a Ryanair. I ricavi dovrebbero essere crollati del 10% a 2,9 miliardi anche per il taglio del prezzo dei biglietti, dovuto alla maggiore concorrenza. Inoltre i costi sono stati ridotti molto meno delle altre compagnie. Perciò il risultato operativo è caduto di altri 200 milioni rispetto à 2015 a 530 milioni. La perdita netta potrebbe sfiorare i 600 milioni», più dei previsti 400 quindi.

I 10,65 miliardi sono la somma (stimata) dei costi dei due salvataggi (missione «Capitani coraggiosi» e ingresso di Etihad con il 49% nell’azionariato), più ciò che servirebbe ora per chiudere la partita. E dunque, in dettaglio: 3 miliardi bruciati nel 2008; più 3,165 miliardi nel periodo 2009-2016 (fra l’intervento pubblico con i 75 milioni immessi dalle Poste diventate azioniste, la cassa integrazione speciale, le minori entrate fiscali); più 4,485 miliardi da sborsare oggi: il doppio di quanto previsto dal piano e appena bocciato. «E questi soldi sono solo per chiudere le falle – dice Giuricin – Per far ripartire Alitalia servono investimenti, altri miliardi ». Che cosa c’è dentro questi 4,48 miliardi necessari adesso? Il pagamento di fornitori e creditori (nell’ipotesi 2,285 miliardi); la cassa integrazione speciale presumibilmente per il 4o% dei 12.500 dipendenti (1,1 miliardi: «Dovrà essere impegnativa, difficilmente il governo non concederà benefici speciali ai lavoratori di Alitalia»). Infine le minori entrate fiscali (500 milioni) a causa delle ridotte dimensioni della società e il sostegno pubblico (600 milioni, benché formalmente a prestito). È questo il quadro che i tre commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, incaricati di gestire l’amministrazione straordinaria di Alitalia, dovranno affrontare. Certo, il conto potrà essere ridotto tagliando i pagamenti ai fornitori (già in allarme).

Ma si capisce come i 600 milioni di prestito autorizzati dal governo per Alitalia siano noccioline. Anche perché il confronto con le altre compagnie europee è impietoso. Dai calcoli Bicocca, è pesantemente negativo (-18%) il rapporto fra il risultato operativo (l’Ebit) e il fatturato, che è un po’ il termometro della produttività. «Come dire che ogni loo euro di ricavi se ne spendono u8 dice Giuricin Un dato non solo preoccupante, ma difficilmente recuperabile». È il peggiore d’Europa, dopo quello di Air Berlin (-8,8%): altra partecipata di Etihad, per la quale il rilancio non ha funzionato. Per tutte le altre compagnie il rapporto fra l’Ebit e il fatturato è positivo, anche per l’Air France Klm (+4,2%) che Alitalia voleva comperarsela, nel 2008. In testa alla classifica c’è la low cost Ryanair con il 22,3%; segue l’ungherese Wizzair (16,5%), quindi l’altra irlandese, Air Lingus (14,9%). Lufthansa è nona. Con i 600 milioni in arrivo Alitalia può insomma scavallare l’estate, la stagione più profittevole. Ma poiché ci vorrebbero diversi miliardi per farla ripartire, la soluzione della vendita a pezzi pare la più probabile.

Da Corriere della Sera Economia, 8 Maggio 2017

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