L’educazione sentimentale di Stato

Un'iniziativa che rientra in un'idea di Stato totalizzante e vicario delle più comuni funzioni e responsabilità individuali

13 Settembre 2016

IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Lo Stato dovrebbe ridurre il suo perimetro di azione. Per noi dell’Istituto Bruno Leoni questo non è solo un auspicio che ha a che fare con la libertà individuale, ma anche una necessità dettata dallo stato della finanza pubblica e dal buon senso. La quotidianità, però, ci fornisce continui esempi che il punto di vista opposto – l’idea, cioè, che i pubblici poteri non conoscano limiti – è radicata nella cultura politica italiana.

Un ultimo lo ha fornito pochi giorni fa la ministro Giannini quando, intervenendo a un’iniziativa del Corriere della Sera, ha annunciato che, nelle linee guida per l’anno scolastico incipiente, sarà valorizzata l’educazione sentimentale.

Di per sé, le anticipazioni della ministro all’istruzione non sono poi tanto allarmanti: non si tratta di dedicare ore specifiche al tema, ma di suggerire ai docenti di insegnare in maniera trasversale la cultura del rispetto, della non violenza, della non discriminazione.

Ci sono però due motivi per pensare che l’educazione sentimentale debba continuare ad essere solo il titolo di un classico della letteratura, e non un compito dello Stato.

Il primo riguarda, appunto, la finanza pubblica: la riforma della #buonascuola ha impegnato 40 milioni di euro all’anno per la formazione degli insegnanti, e una parte di questi sarà dedicata – ha detto la Giannini – «all’educazione all’affettività». Ma davvero servono persino soldi per una cosa scontata come richiedere agli insegnanti di usare metodi che lascino apprendere ai giovani il senso del rispetto per l’altro e per se stessi mentre imparano le discipline curriculari? Non è, questo, un caso di spreco di denaro pubblico, a dispetto dell’impossibilità ovunque dichiarata di trovare ulteriori voci di spesa da tagliare?

Il secondo invece ha a che fare col buon senso. L’intelligenza emotiva è senz’altro una virtù e una fonte necessaria di coesione e rispetto tra persone, ma che siano delle linee guida a indirizzare gli insegnanti della scuola pubblica al «lessico dell’amore», come l’ha definito la ministro, rientra in un’idea di Stato totalizzante e vicario delle più comuni funzioni e responsabilità individuali, compresa quella dei grandi di educare i giovani ai più basilari valori della convivenza.

Non tutte le cose che contano, nella vita, hanno bisogno di “politiche pubbliche”. Per fortuna.

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